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Che il cambiamento climatico sia la più grande e pervasiva minaccia alla società umana di cui il mondo abbia mai avuto esperienza, come l’ha definito l’Unep, è un fatto acclarato. E che entro il 2050 i migranti ambientali e climatici potrebbero arrivare a 220 milioni di persone, è una stima della Banca mondiale universalmente accettata.
Ma nonostante le evidenze tuttora i migranti climatici non godono di uno status giuridico riconosciuto, e in Italia la normativa sulla protezione per calamità naturali, modificata con il decreto Cutro, limita le possibilità di riconoscimento.
Crisi climatica causa principale
Eppure, la crisi climatica che stiamo vivendo non è solo un acceleratore degli spostamenti forzati in tutto il Pianeta, in molti casi è una delle cause principali. A denunciarlo è l’edizione 2025 del report Migrazioni ambientali e crisi climatica curato dall’associazione A Sud, in collaborazione con il Centro studi Systasis, Asgi, We World e un’ampia rete di partner del progetto Le Rotte del clima. 348 le storie raccolte, di emigrati arrivati in Italia e accolti in centri di accoglienza, in transito a Ventimiglia e presso associazioni.
Oltre la metà degli intervistati provengono dall’Asia, con Bangladesh e Pakistan come principali Paesi di partenza, seguiti da Africa e Nord Africa. L’indagine è un appello urgente per riconoscere le migrazioni climatiche come un problema globale, da affrontare con strumenti giuridici, politiche inclusive e un cambio di rotta.
Realtà comuni
Le testimonianze mostrano realtà comuni. Alla domanda sul perché hanno abbandonato il loro Paese, il 69 per cento di coloro che hanno indicato la scelta migratoria legata a ragioni di studio, lavoro e per migliorare le condizioni di vita, dichiarano il peggioramento delle condizioni climatiche come concausa dello spostamento.
Dietro alla categoria tradizionale del migrante economico, quindi, spesso si nasconde una motivazione più profonda legata all’ambiente, in particolare dove la dimensione economica è strettamente connessa ai fattori naturali, come per i migranti provenienti da aree rurali. Una consapevolezza che molto spesso non hanno neppure le persone costrette a spostarsi.
Alti rischi
Agli intervistati è stato inoltre chiesto quali conseguenze di eventi climatici estremi hanno vissuto. Le risposte? Il rischio di morte personale e di familiari e amici, la mancanza di acqua potabile, il rischio di insorgenza di malattie, l’impossibilità di coltivare la terra e la distruzione delle abitazioni, oltre che di infrastrutture come ospedali e strade. L’84,7 per cento degli intervistati ha dichiarato che le autorità locali non si sono attivate per mitigare gli effetti dei disastri climatici.
Non basta. Dalle testimonianze emerge anche una discriminazione sistematica: il 41,3 per cento degli intervistati appartiene a minoranze etniche, spesso lasciate senza supporto durante le emergenze climatiche. Un dato che sottolinea l’urgenza di politiche che affrontino non solo l’impatto climatico, ma anche le disuguaglianze sociali e culturali.
Nuova consapevolezza
“L’intera pubblicazione invita il lettore ad allargare l’orizzonte di comprensione della complessità delle migrazioni contemporanee, che trovano nella crisi climatica un filo rosso che le attraversa - afferma Marica Di Pierri, che ha curato il report per A Sud insieme a Maria Marano -. L’auspicio è che possa diventare un vero e proprio strumento di lavoro nelle mani di operatori sociali, giuristi, attivisti, ricercatori che operano nel campo delle migrazioni. È solo attraverso nuovi strumenti di lettura e di lavoro che possiamo pensare di raggiungere un grado di consapevolezza tale da far uscire dal limbo in cui sono relegati i migranti climatici e ambientali”.
Le proposte
Il report propone anche una serie di soluzioni. Innanzitutto, è necessario incrementare la conoscenza e la consapevolezza del fenomeno della migrazione indotta da fattori climatico-ambientali, poi occorre assicurare la considerazione dei fattori di rischio climatico-ambientali per l’accesso alla protezione giuridica, quindi sviluppare politiche che tengano in considerazione la causa climatico-ambientale della migrazione, con particolare attenzione all’intersezionalità di genere.
L’indagine sottolinea l'importanza di un approccio integrato e multidisciplinare per affrontare le migrazioni climatiche e ambientali, promuovendo la protezione dei diritti umani, l'adattamento al climate change e una visione ecologica delle politiche migratorie.