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Oggi, 13 novembre, è la seconda giornata del segmento di alto livello, in cui a parlare sono i leader dei vari Paesi. Ieri il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha fatto un intervento molto criticato. Ha detto che petrolio e gas sono un “dono di Dio”, che le nazioni non dovrebbero essere biasimate per avere riserve di combustibili fossili e che hanno tutto il diritto di immetterli nel mercato. Ha anche rimarcato l’ipocrisia dei Paesi come l’Ue che implorano petrolio e gas e poi denunciano il record di emissioni del suo Paese.
L’apertura del Presidente dell’Azerbaigian, per quanto criticabile, ci offre una lettura onesta, cinica ma realistica della situazione attuale: da una parte Stati che non intendono per il momento uscire dalle fonti fossili, dall’altra chi, come anche il nostro Paese, per ridurre le importazioni di gas dalla Russia non ha scelto la strada della transizione energetica ma quella della diversificazione delle importazioni privilegiando altri paesi, fra cui proprio l’Azerbaijan. A questi si aggiungono i Paesi del sud del mondo sfruttati e colonizzati, che non hanno accesso ai diritti fondamentali né le risorse per affrontare la transizione.
L’emergenza climatica e ambientale è sempre più drammatica e il tempo non è dalla nostra parte, come ha detto ieri nel suo intervento il segretario generale dell’Onu, che ha cercato di dare anche qualche segnale di speranza: “L'anno scorso, e per la prima volta, la quantità investita in green e in energie rinnovabili ha superato la quantità spesa in combustibili fossili. E quasi ovunque, l'energia solare ed eolica sono le fonti di elettricità più economiche... La rivoluzione dell’energia pulita è qui. Nessun gruppo, nessuna azienda e nessun governo può fermarla”. Quello che si sta facendo, però, non è ancora sufficiente a rispettare l’impegno di contenere l’incremento della temperatura media globale entro 1,5°C. I governi stanno facendo troppo poco, praticamente tutti.
Stamani è intervenuta anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Un intervento che riprende tutte le peggiori intenzioni dell’attuale governo. Dopo aver ricordato alcuni impegni della Cop28 di Dubai, tra cui il triplicare la capacità di rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica, che l’Italia non sta nemmeno lontanamente onorando, la presidente ha ribadito che “la natura va difesa con l’uomo al centro”, che “la strada giusta è quella della neutralità tecnologica”, che per affrontare la crescita del consumo energetico globale “dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a disposizione. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della Co2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata”.
La vecchia e fallimentare ricetta del Pniec e del Piano Mattei: hub del gas e della Ccs, neutralità tecnologica, nucleare, in questo caso quello da fusione ma il governo sponsorizza gli Smr che sono impianti a fissione. Quella tracciata dalla presidente è una posizione irresponsabile, soprattutto per il ruolo dell’Italia nel contesto dei paesi del G7, Paesi con maggiori responsabilità e capacità finanziare e tecnologiche per affrontare per primi e con maggiore impegno l’uscita dalle fonti fossili e lo sviluppo delle rinnovabili. Una strada che condanna l’Italia alla dipendenza energetica e tecnologica, ad avere i prezzi energetici più alti di Europa perché il nostro costo energetico dipende all’80% dal prezzo del gas, a perdere prospettive di sviluppo e occupazionali.
Fra gli interventi di ieri anche quello del premier britannico Keir Starmer, che ha presentato il piano per ridurre le emissioni dell’81% entro il 2035 e Geraldo Alckmin vice-presidente brasiliano che ha presentato nuovi target, dal 59% al 67% entro lo stesso anno, rispetto al 2005, quello della Turchia che ha dichiarato l’impegno a raggiungere le emissioni zero nette al 2053. E quello del premier spagnolo Pedro Sánchez che ha ammesso: “I primi studi ci dicono che questo evento sarebbe stato meno probabile senza il cambiamento climatico” ma, nonostante la commozione per gli oltre 200 morti della regione di Valencia, non ha preso nessun nuovo impegno.
Simona Fabiani è responsabile Cgil Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione