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A Glasgow si è appena conclusa la ventiseiesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici. In piena emergenza climatica, l’organizzazione mondiale della sanità la definisce la più grande minaccia alla salute umana dei nostri giorni, la decisione finale è inadeguata.
Siamo consapevoli che non fosse semplice tenere insieme, in una decisione da assumere all’unanimità, le esigenze dei paesi occidentali, con quelle di paesi in via di sviluppo, come Cina e India, e con quelle dei paesi più poveri e più vulnerabili di Africa, Asia, Pacifico e Caraibi che hanno le minori responsabilità ma che sono fra le maggiori vittime del cambiamento climatico. Non per questo ci basta, per essere soddisfatti dell’esito della Cop26, che alla fine il multilateralismo sia salvo perché c’è un testo finale condiviso e che, per quanto sia un segnale di distensione importantissimo, Usa e Cina abbiano rilasciato un comunicato congiunto in cui promettono di lavorare insieme per rafforzare gli impegni dell’Accordo di Parigi.
La nostra valutazione negativa si basa sui contenuti del Glasgow Climate Pact che sono assolutamente inadeguati rispetto all’impatto che il cambiamento climatico sta avendo già oggi sulla vita degli esseri umani:
- riafferma l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico. È la conferma, a 6 anni di distanza, di quanto già previsto nell’Accordo di Parigi del 2015 ma senza ulteriori impegni concreti sono solo parole. Il testo finale prevede la revisione annuale degli impegni di riduzione al 2030 a partire dal 2022 con un loro rafforzamento prima della Cop27. Questo è un passaggio importante ma poiché si tratta di obiettivi volontari, dobbiamo vedere quanto saranno ambiziose le risposte dei vari paesi. Le attività umane hanno già causato un incremento della temperatura media globale di 1.1°C e gli impegni assunti dai vari paesi (NDCs) se non saranno incrementati, porteranno ad un incremento medio di 2,4°C, sempre che siano rispettati;
- riconosce che per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C serve una rapida, profonda e prolungata riduzione delle emissioni globali di gas serra, compresa la riduzione delle emissioni globali di CO2 del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e a zero netto intorno metà del secolo, e profonde riduzioni di altri gas serra. È una presa di coscienza importante ma si scontra con il fatto che gli attuali NDCs portano ad un incremento delle emissioni del 13,7% nel 2030 rispetto al 2010, e la Cop26 rinvia al prossimo anno l’adozione della roadmap per ridurre le emissioni climalteranti al 2030;- invita ad accelerare gli sforzi per una graduale riduzione dell’uso del carbone e ad eliminare gradualmente i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. L’India ha fatto saltare un precedente testo in cui si parlava di phase out dal carbone; sta di fatto che non c’è una data precisa per l’uscita dal carbone e dalle altre fonti fossili e per il superamento dei sussidi, la cui eliminazione gradualmente riguarderà solo quelli che saranno considerati inefficienti, come se esistessero sussidi efficienti per il sostegno alle fonti fossili;
- prende atto delle crescenti esigenze dei paesi in via di sviluppo per gli impatti sempre più forti del cambiamento climatico e per l'aumento del debito dovuto alla pandemia così come prende atto che l’impegno, assunto dai paesi sviluppati nel 2009 di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 per sostenere i paesi in via di sviluppo, non è stato rispettato e che queste risorse comunque non sono sufficienti ma, a parte le esortazioni ai governi e alle istituzioni finanziarie non ci sono iniziative concrete per il sostegno finanziario, tecnologico e di capacità ai paesi in via di sviluppo né per quanto riguarda la mitigazione, né per l’adattamento né per la copertura dei costi delle perdite e dei danni causati dal cambiamento climatico.
Nell’ambito della Cop26 il nostro governo non ha brillato per ambizione: non ha firmato l’accordo sui motori a benzina e diesel, ha sottoscritto senza impegni (solo come “amica”) l’alleanza Boga (Beyond oil & gas alliance) e non ha partecipato alla conferenza stampa indetta da Germania, Spagna e altri 5 paesi contro l’inserimento del nucleare nel regolamento per la tassonomia degli investimenti sostenibili dell’Unione Europea.
Viene confermata, ancora una volta, la mancanza di visione per una transizione ecologica da parte di questo Governo, sia sul versante sociale di tutela, protezione e creazioni di lavoro, sia sul versante ambientale - aprendo anche all’ipotesi di un ritorno al nucleare - rischiando di farci perdere l’occasione straordinaria offerta dalle risorse europee per un cambiamento radicale e necessario di modello di sviluppo basato su equità e benessere delle persone e del pianeta.
È finita la Cop26, ma non la lotta della Cgil per la giustizia climatica e sociale. Continueremo a portare avanti le nostre rivendicazioni, a partire dai contenuti della nostra “Piattaforma integrata per lo sviluppo sostenibile” del 2018 e dei documenti unitari “Per un modello di sviluppo sostenibile” e “Piattaforma per la giusta transizione”, nei confronti con il governo e con gli Enti Locali, anche per l’utilizzo delle risorse del Pnrr e dei fondi coesione 2021-2027, così come nella contrattazione di categoria a tutti i livelli.
Simona Fabiani è la responsabile Ambiente e territorio della Cgil nazionale