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Se pure ci fosse bisogno di ribadirli, a beneficio di ecoscettici e negazionisti, gli allarmi degli scienziati sui cambiamenti climatici non si fermano. A lanciare l’ultimo in ordine di tempo è il progetto Careheat, finanziato dall’Agenzia spaziale europea, al quale partecipano per l’Italia l’Enea e il Cnr, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Research Letters. Questa volta il focus è il mare: da maggio 2022 a maggio 2023 il Mediterraneo ha subito l’ondata di calore più lunga mai registrata negli ultimi quaranta anni, con un aumento fino a 4°C delle temperature dell’acqua e picchi superiori a 23°C. La parte più colpita è stata il bacino occidentale.
Mediterraneo bollente
I dati sono forse ancora più preoccupanti di quelli relativi alle ondate di calore che abbiamo vissuto sulla nostra terra, perché aria e mare non si riscaldano alla stessa maniera. “Per riscaldare un cubetto di acqua ci vuole molta più energia di quella necessaria per scaldare la stessa quantità di aria - spiega Gianmaria Sannino, climatologo, responsabile della divisione modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali dell’Enea -. Essere arrivati alle temperature registrate dalle misurazioni del progetto significa che c’è stata una quantità di calore incredibile, molto alta. La stessa cosa è accaduta nel nord Atlantico”.
Cambiamenti climatici in atto
Le ondate di calore possono avere ripercussioni non solo sulla vita marina, soprattutto nei primi metri di profondità sui quali hanno un grosso effetto, ma anche su tutta la circolazione delle correnti del Mediterraneo, una questione che sembra lontana da noi ma non è così. “Questo studio da una parte ci conferma ciò che già sappiamo e dall’altro ci preoccupa - aggiunge Sannino -. Quella vissuta l’anno scorso, un’ondata di calore prolungata ed elevata, non è altro che un campanello di allarme: il cambiamento climatico sta già avendo luogo. Inoltre ci dice che quello che prevediamo con i nostri modelli è corretto”.
Con Careheat la ricerca è partita dall’analisi dei dati satellitari che per primi hanno rilevato l’anomalia termica, con valori molto più alti rispetto alla precedente ondata di calore del 2003. Le informazioni sono state poi integrate con i dati provenienti dalle osservazioni disponibili dalla stazione climatica di Lampedusa, l’unico avamposto in Europa in grado di fornire dato sulle interazioni fra vegetazione, atmosfera e oceano: una boa d’altura capace di misurare la temperatura superficiale del mare ma anche quella a decine di metri sotto.
Caldo sarà la norma
“Quello che abbiamo vissuto questa estate diventerà la norma nei prossimi anni – aggiunge il climatologo -. Entro la fine del secolo il Mediterraneo sarà più caldo di 4-5° C e più alto di 70-80 centimetri. La ricerca è e sarà un elemento chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, come d’altronde ha finalmente stabilito la Cop28, dove per la prima volta si è parlato di transition away, transizione dalle fonti fossili. Certo è un compromesso, ma la prima scadenza c’è: al 2025 centinaia di Stati devono arrivare con piano dettagliato e preciso in cui dicono di quanto e come tagliare le emissioni. Il limite di 1,5°C di riscaldamento? È quasi irraggiungibile, diventa davvero difficile immaginare che ci manteniamo sotto. E tra 1,5° e 2°C c’è una bella differenza”.
Alpi a rischio
E dal mare alla montagna, il 2023 è stato un anno di record negativi anche per le Alpi. A mettere in fila dati e numeri è Legambiente che, insieme al Comitato glaciologico italiano, ha stilato nel report Carovana dei ghiacciai 2023 un bilancio di fine anno: il caldo torrido ha reso il 2023 l’anno più caldo di sempre; lo zero termico, mai così alto sulle Alpi, è arrivato a quota 5398 m; sono aumentati gli eventi meteorologici estremi in tutte le regioni dell’arco alpino (Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia). Inoltre, nel 2023 è proseguito sull’arco alpino il regresso dei ghiacciai, anche se con arretramenti frontali minori rispetto al 2022, grazie anche alle consistenti precipitazioni di neve di maggio.
Ghiacciai e laghi
Tra gli osservati speciali, monitorati da Legambiente e dal Comitato, troviamo: il ghiacciaio del Belvedere, il più grande del Piemonte, situato nel gruppo del Monte Rosa, dove il persistere del riscaldamento climatico incrementa l’instabilità geomorfologica; i ghiacciai dell’Adamello, sulla cui superficie con sempre maggiore frequenza compaiono crepacci circolari, detti ‘calderoni’ che portano a repentini crolli di ghiaccio; sempre sull’Adamello, il ghiacciaio di Lares è quello che ha perso di più in superficie, passando dai 6 chilometri quadrati nel 1960 ai 4,8 nel 2003 e ai 2,8 del 2023, dunque più del 50 per cento in 60 anni. Sotto osservazione anche i ghiacciai austriaci e quelli svizzeri.
Tra gli altri punti chiave al centro dello studio, la formazione di un numero crescente di nuovi laghi glaciali, dovuta al progressivo ritiro dei ghiacciai e accompagnata da una significativa trasformazione geomorfologica (scomparsa, espansione/restringimento) di quelli esistenti. Per esempio, in Valle D’Aosta tra il 2006 e il 2015 il numero totale dei laghi glaciali è quasi raddoppiato, con la comparsa di 170 nuovi laghi.
Hot spot climatici
“Le Alpi e il Mediterraneo sono aree particolarmente sensibili al riscaldamento climatico, qui più che altrove si registra un’accentuata accelerazione degli effetti della crisi che avanza - dichiarano Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, e Vanda Bonardo, responsabile nazionali Alpi Legambiente -. L'adattamento è un processo di adeguamento, non una risposta una tantum a un'emergenza. Il concetto di rischio totale, per troppo tempo rimasto confinato tra le conoscenze degli esperti, deve diventare un riferimento quotidiano e consueto per coloro che ci governano. Per questo chiediamo al governo Meloni un serio impegno da parte dell’Italia nella lotta alla crisi climatica con politiche più ambiziose di adattamento e azioni concrete non più rimandabili”.