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L'Assemblea generale delle Nazioni Unite vota a favore del cessate il fuoco umanitario immediato nella Striscia di Gaza: 153 sì, 10 no e 23 astensioni, tra queste anche quella dell’Italia. Scontata la forte contrarietà di Israele – sostenuti dal voto degli Stati Uniti – anche se nel contempo il presidente Joe Biden fa sapere al premier Benjamin Netanyahu che oramai sta perdendo il sostegno internazionale.
Mentre nella Striscia di Gaza proseguono i combattimenti e la conta dei morti sale (Hamas parla di oltre 18 mila palestinesi) – con perdite ingenti anche tra le fila dei soldati israeliani –, Biden chiede a Netanyahu di cambiare la compagine di governo, vale a dire la sostituzione di chi si oppone strenuamente alla soluzione dei due Stati, per lo più di estrema destra.
“C’è l’assoluto bisogno di un riconoscimento reciproco e tutto dipende da chi vuole trattare e chi no, da chi è forte e chi non lo è”, ci dice Andrea Nicastro, inviato speciale de Il Corriere della Sera, testata per la quale, nelle scorse settimane, ha intervistato uno dei leader di Hamas.
A Nicastro, che ha pubblicato il volume Gli altri siamo noi, frutto di vent’anni di incontri e viaggi in Cecenia, Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran, Libano, Tunisia, Egitto, Libia e Marocco, chiediamo se si può intravedere una via d’uscita in una situazione che all’opinione pubblica sembra essere di stallo totale per la rigidità dalle posizioni assunta dagli attori.
“La possibilità di uscita c’è sempre – afferma -, però ci vuole la volontà. Hamas cerca di creare le condizioni più disperate possibili e clamorose, con azioni spregiudicate e violente, con l’obiettivo di essere riconosciuta e avere un ruolo che le è sempre stato negato. È necessaria quindi una scelta politica che parta dalla comprensione che esiste un diritto all’esistenza palestinese e israeliana”
“Non si può sperare che uno dei due scompaia – prosegue -. Servono umanità e responsabilità e, se Hamas ha avuto i voti dei palestinesi, bisogna parlare con Hamas. È inutile rivolgersi a Fatah che invece non ha il controllo di Gaza. La soluzione militare, portata avanti da 15 anni, dimostra che non si vuole risolvere il problema”.
Per Nicastro bisogna assolutamente puntare al dialogo e permettere lo sviluppo della società palestinese che ora è invece negato da Israele: “Devono potere aprire porti e aeroporti, avere dogane, costruirsi proprie centrali elettriche, esportare i loro prodotti e avviare un’economia reale. Se viene tolta loro l’elettricità, come sta accadendo ora, le fabbriche falliscono e chiudono. Finché non cesseranno le ostilità con Israele, non ci sarà una possibilità di futuro per la Palestina e di questo Netanyahu è ben consapevole”.
Nel suo ultimo libro, dal sottotitolo significativo Perché tradire la democrazia scatena il Jihad, Nicastro va alle origini di un cambiamento la cui portata si riflette sugli avvenimenti internazionali, in particolare mediorientali, dei giorni nostri. Un cambiamento che fa risalire agli anni 70, quando, tra le ricette della guerra fredda e la contrapposizione tra capitalismo e socialismo reale, “faceva capolino una terza via, un’altra idea di liberazione post-coloniale in grado di dimostrare che i Paesi poveri non lo sono perché inferiori a quelli ricchi o per loro colpa: l’islamismo politico”.
La svolta khomeinista
“Nel ‘79 Khomeini va al potere in Iran e afferma che nel guidare un Paese chi segue la via di dio è più puro – spiega Nicastro -. È la risposta a un Occidente che ha esercitato il controllo sui Paesi come l’Iran, decidendo su chi doveva regnare e governare, su quale economia produttiva dovesse essere messa in pratica così da essere subordinata alla nostra. E noi sicuramente non abbiamo mai avuto alcun interesse a promuovere lo sviluppo di chi ci avrebbe fatto concorrenza. Qui sta la grande truffa dell’aiuto allo sviluppo che l’Occidente ha portato avanti per decenni, mantenendo in realtà lo status quo e l’appoggio alle classi dominanti, limitandosi ad aiuti più o meno umanitari, all’assistenza che permettesse alle popolazioni rurali di non precipitarsi nelle aree urbane e fare la rivoluzione, rovinando i commerci”.
L’intuizione di Khomeini è vincente, dice l’inviato speciale del Corriere della Sera, e lo è persino con una grande potenza come gli Stati Uniti, vista anche la sconfitta di Jimmy Carter nella vicenda degli ostaggi nell’ambasciata Usa di Teheran. “La scoperta di avere tra le mani una forza straordinaria, che è la religione, provoca un terremoto nel mondo sciita e sunnita. Il riscatto per quel pezzo di mondo viene dalla religione e siamo stati ovviamente noi a instillarlo, finanziando l’estremismo islamista per sconfiggere il comunismo internazionale, come hanno fatto gli americani in Afghanistan”.
La democrazia da esportare
Nicastro in Afghanistan è stato per tre anni, è entrato per primo nel Paese nel 2001 con l’esercito del Nord e ha intervistato presidenti afghani democratici e generali americani, quindi racconta: “I militari statunitensi dicevano di stare lavorando nella direzione giusta, che l’esercito afghano si stava rafforzando. Allora facevo loro presente che gli afghani erano l’uno contro l’altro armati, non si fidavano tra loro, erano corrotti e quindi non potevano collaborare e essere messi negli stessi reparti. I generali rispondevano che quello dell’Afghanistan sarebbe stato un futuro roseo e che l’Occidente sarebbe stato sempre con loro… Salvo poi abbandonarli da un giorno all’altro, il 15 di agosto del 2021, con la gente che si aggrappava alle ruote degli aerei, precipitando dall’alto. Una scena che fa vergogna all’umanità. Ma siamo sempre noi, quelli che volevano esportare la democrazia”.
La Palestina dall’Olp ad Hamas
Nicastro cita poi la situazione libanese, quella libica e quella egiziana per tornare alla Palestina. “L’Olp era una organizzazione ‘socialisteggiante’, finanziata dall’Unione Sovietica, per la quale simpatizzavano i gruppi estremisti europei, laica (che non viole dire necessariamente buona), ma non capace di produrre la liberazione della Palestina. C’è stato l’uso della violenza, come per tanti moti di liberazione nella storia, e questo movimento, guidato da un terrorista come Arafat, non è stato in grado di trovare una soluzione. Quindi è nato negli interstizi della società palestinese un altro movimento, più religioso, Hamas, e come Khomeini ha proclamato la sua non corruttibilità perché composto da fedeli e dio non vuole la corruzione. Possiamo immaginare che anche Mazzarino e i cardinali dicessero la stessa cosa nell’esercizio del potere della Chiesa”.
Nel 2006 Hamas ha vinto alle elezioni “e la società palestinese ha mollato il cavallo storico laico interpretato da Fatah. Il rapporto tra Isreale e Palestina si è definitivamente interrotto, Tel Aviv ha fatto in modo che Fatah cercasse di ribaltare l’esito elettorale, è scoppiata una guerra civile e si è arrivati alla divisione del territorio palestinese, Gaza ad Hamas e la Cisgiordania a Fatah”.
"Questa – conclude – è stata per Israele un’ottima scusa per non parlare con nessuno dei due ed escludere il dialogo necessario per mettere a terra i propositi degli accordi di Oslo che andavano verso la politica dei due Stati”.