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Il contratto nazionale delle Tlc è scaduto da due anni, in un comparto produttivo che vive un momento di crisi epocale. Le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil hanno proclamato lo sciopero delle prestazioni straordinarie ed accessorie dal 2 al 31 marzo, con l’astensione per l’intera giornata di lunedì 31.
Riccardo Saccone, segretario generale Slc, sarete in piazza per chiedere di nuovo con forza il rinnovo del contratto nazionale delle telecomunicazioni. Una trattativa molto faticosa, ma perché non si riesce a procedere?
Noi al contratto di filiera ci crediamo, noi il contratto lo pretendiamo, vogliamo che si investa su questo settore strategico e però investire vuol dire anzitutto investire sul lavoro e quindi sulle persone. Il contratto è scaduto da 2 anni e mezzo. Non è più rinviabile questa cosa. Io credo che in questo caso, come in molti altri, paghiamo l'assenza di un “progetto paese”. Il settore delle telecomunicazioni è uno dei più produttivi, ma deve essere guidato da un'idea, da una progettualità sulle infrastrutture, che permetta di gestire le transizioni tecnologiche, a partire da quella digitale. Il mancato rinnovo di un contratto così importante non è che lo specchio della crisi più generale del paese e di questo settore, nel particolare. Come Cgil stiamo facendo ormai da diverso tempo un ragionamento profondo sui mutamenti dei processi di industrializzazione. Se guardiamo alla scelta dello Stato di separare la rete, ci troviamo di fronte all’ennesima soluzione tampone, per provare a salvare il salvabile.
Mancano politiche industriali, ma mancano anche aziende capaci di superare la crisi facendo investimenti seri. Possiamo considerarla l’altra faccia della medaglia?
Assolutamente sì. Se un'azienda continua a fare offerte di abbonamenti a €5,90, regalando di fatto traffico dati e traffico voce, non si può dare la colpa soltanto all'assenza di un piano industriale del Paese. Le aziende stanno perdendo completamente il senso dell’industria, e nelle telecomunicazioni ciò è particolarmente evidente. Si stanno dimenticando dell’oro che possiedono: i dati. Il nuovo petrolio, che queste aziende sarebbero in grado di estrarre e di “lavorare”. I dati sono il vero petrolio del mondo occidentale, e i nostri imprenditori se lo stanno dimenticando. Continuano a fare una competizione sui costi, attraverso offerte sempre più standardizzate, e dunque banali dal punto di vista tecnologico, a prezzi stracciati.
Un prezzo stracciato per il cliente finale, che però per l'azienda significa dover risparmiare da qualche altra parte: sugli investimenti e sul costo del lavoro.
Se abbassi la qualità e la quantità degli investimenti condanni il paese progressivamente all'irrilevanza tecnologica, oltre a rendere il settore non più appetibile per i giovani talenti. Stiamo vivendo un totale cambio di paradigma della tecnologia, ogni anno il comparto brucia un miliardo di ricavi, secondo i dati di Confindustria. E nel frattempo, ogni giorno migliaia di persone vedono abbassarsi la qualità del loro lavoro.
E molti altri finiscono addirittura per perderlo. Network Contacts, solo per restare alle ultime notizie, ha licenziato cento persone a Molfetta e novanta a Crotone. Come contrastare l’inarrestabile crisi dei call center?
Diceva Umberto Eco che la società si divide sempre fra apocalittici e integrati. Il tema non è se domani non esisteranno più i call center, che già oggi sono stati radicalmente trasformati dai processi di digitalizzazione. La vera questione è come difendere l’occupazione trasformando il lavoro. Perché è vero che la digitalizzazione brucia volumi, ma ne crea anche di nuovi. Ma per permettere alle persone di agganciare i nuovi mestieri, bisogna investire sulla loro formazione, sviluppare le loro professionalità. L’imprenditoria, invece, sta correndo alla massimizzazione dei profitti – comprimendo il costo del lavoro- per sfruttare questi ultimi anni prima che il sistema imploda. Non c’è alcuna lungimiranza.
Mentre la trattativa per il rinnovo contrattuale è in stallo, altre sette aziende hanno disdetto il contratto delle Tlc per passare al sedicente contratto firmato da Asso Contact con alcune sigle sindacali, minori. Siamo di fronte a qualcosa di molto grave?
I contratti pirata sono esattamente lo strumento che si usa per svalorizzare il lavoro. Lo diciamo ormai da tanto tempo come Cgil, per questo serve subito una legge sulla rappresentanza. Perché in questo paese tre persone si incontrano al bar, uno fa il padrone, uno fa il sindacato e quello che sa leggere e scrivere butta giù un contratto che poi è valido. Con buona pace della rappresentanza, o della non-rappresentanza. Senza una legge, si continua a tollerare l’esistenza di pratiche analoghe proprio perché sono l’espediente per comprimere diritti e salari.
Si sono tenute da poco le elezioni per il rinnovo delle rsu sia in Tim che in FiberCop. La Slc Cgil è il primo sindacato in entrambe le aziende. Cosa vi ha permesso di vincere?
Stiamo votando praticamente dappertutto, con le piattaforme certificate elettroniche. Intanto partiamo da un presupposto: l’Slc Cgil si riconferma di gran lunga il sindacato più rappresentativo nelle telecomunicazioni. Lo è dopo elezioni partecipatissime, dove ha votato quasi l'80% degli aventi diritto. Percentuali che la politica in questo paese può solo immaginare. Un altro dato che ci riempie d'orgoglio e ci dà ancora più responsabilità è che, sia in FiberCoop che in Tim, abbiamo raggiunto circa il 70% dei consensi. Vuol dire che il lavoro fatto in questi anni ha contato: difendere l’occupazione, seguire passo passo tutte le trasformazioni subite da queste aziende. Siamo orgogliosi delle compagne e dei compagni che si sono impegnati giorno dopo giorno in contesti difficili, in un clima complicato. Ed è proprio da questa forza che dobbiamo ripartire per portare a casa l'altro risultato, importantissimo, dell'8 e 9 giugno. Quello del referendum.