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Il 1° aprile 2015, data della fine del regime delle quote latte introdotto all’inizio degli anni ottanta per controllare la tendenza del sistema alla sovrapproduzione, ha rappresentato indubbiamente un momento di svolta radicale in Europa per l’intero settore zootecnico. Il 2015 e il 2016, i primi due anni del nuovo regime, sono stati contraddistinti dalla volatilità del prezzo e dalla tendenza alla crescita della produzione, favorendo l’affermarsi di una condizione di eccesso di offerta.
Durante il primo anno il sistema zootecnico europeo, in particolare nei Paesi e nelle regioni specializzati in produzione di latte e contraddistinti da grandi aziende, liberato dai vincoli produttivi, ha incrementato la produzione di latte in misura significativa. Questa dinamica, unita a situazioni critiche sul lato della domanda, soprattutto a causa della chiusura del mercato russo, ha presto determinato una condizione di eccesso di offerta con immediate ripercussioni sui prezzi che fino ai primi mesi del 2016 avevano subito forti contrazioni e si attestavano ben al di sotto dei costi di produzione, in particolare nel caso delle aziende di minori dimensioni, contraddistinte da costi di produzione più elevati.
Il 2016 invece, come conseguenza di queste dinamiche, insieme alla ripresa della domanda a livello globale e all’importante intervento finanziario dell’Unione europea volto a contenere la produzione e a sostenere quei produttori colpiti dalle condizioni critiche del mercato, ha contribuito a ribaltare le tendenze in essere, con il prezzo del latte che in un lasso ridotto di tempo ha registrato una crescita notevole.
In questo contesto, occorre ricordare che la zootecnia italiana ricopre un ruolo molto importante in Europa: l’Italia è il quinto produttore di latte dopo Germania, Francia, Regno Unito e Olanda e uno dei principali Paesi per la trasformazione ed export di prodotti caseari. Durante gli ultimi 25 anni la struttura della zootecnia del nostro Paese è profondamente mutata, con un calo molto forte delle aziende con vacche da latte, passate dalle oltre 200 mila del 1990 alle 40 mila del 2015.
Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte detengono complessivamente il 60% del totale delle vacche da latte italiane. Non solo: a eccezione del Veneto, che ha una struttura produttiva ancora molto frammentata, in queste regioni gli allevamenti hanno dimensioni nettamente maggiori della media nazionale. Nel contesto competitivo globale, in assenza del regime delle quote europeo, cresce la necessità di beneficiare di economie di scala e la dimensione minima efficiente si amplia, portando facilmente gli allevamenti di piccole dimensioni fuori mercato.
La ridotta redditività della produzione del latte può infatti essere compensata dalla diversificazione delle fonti di reddito in seno alle aziende zootecniche, come è avvenuto ad esempio per mezzo delle centrali a biogas, o grazie alla riduzione dei costi di produzione attraverso significativi investimenti in tecnologia, con l’adozione della cosiddetta zootecnia di precisione, ma questi interventi sono attuabili solo da allevamenti di grandi dimensioni.
Questo è il panorama nel quale gli interventi di policy e sostegno a favore dell’agricoltura in generale e della zootecnia in particolare, dal livello europeo a quello nazionale, si sono inseriti. Dai primi interventi di Politica agricola comunitaria (Pac), dove l’obiettivo era soprattutto quello di garantire gli approvvigionamenti e controllare al contempo la sovrapproduzione, nel corso degli anni 2000 si è passati attraverso una maggiore attenzione al tema della salubrità del prodotto, fino a prevedere obiettivi legati alla sostenibilità ambientale con la Pac 2014-2020.
In sostanza, la nuova Pac, coerentemente con la stessa abolizione delle quote latte, tende a incrementare la libertà dei Paesi e dei mercati rispetto alla produzione dei beni agricoli e zootecnici. I mercati dei prodotti agricoli e zootecnici tenderanno quindi a essere sempre meno governati, portando inevitabilmente all’accrescimento della concorrenza europea e dunque alla necessità di avere sistemi produttivi nazionali e locali sempre più competitivi.
Il primo elemento sul quale sarebbe necessario tornare a investire è la ricerca: grazie ai numerosi anni di attività di raccolta dati sulla qualità del latte, nell’ambito dei controlli funzionali, e trasferimento ed elaborazione degli stessi da parte delle associazioni nazionali di razza, in Italia a oggi si produce materiale per riproduzione animale valutato di altissima qualità. Tuttavia, i centri di selezione hanno visto una riduzione della propria attività a causa della contrazione degli investimenti e, al contempo, l’avanzare della possibilità di valutare la qualità di un riproduttore per mezzo dell’analisi genomica riduce in prospettiva futura la centralità delle tecniche di analisi e selezione attualmente esistenti.
Sarebbe quindi necessario da una parte valorizzare i risultati sinora raggiunti, promuovendo la conoscenza in Italia e all’estero del seme italiano, giudicato di alta qualità, ma non adeguatamente valorizzato sul piano commerciale. Dall’altra, prevedere anche l’utilizzo delle competenze e tecniche di analisi di genomica, che tendono attualmente ad affiancarsi, probabilmente a soppiantare in futuro, le attuali tecniche di selezione.
Collegato all’attività di ricerca per la selezione della razza è l’importantissima attività di consulenza tecnico-veterinaria. Sarebbe necessario ampliare i parametri estrapolati in fase di analisi, cercando di avere un monitoraggio il più ampio e approfondito possibile. Sarebbe inoltre utile affiancare un sevizio di consulenza tecnica-veterinaria che dai dati raccolti sappia proporre all’allevatore alcuni interventi mirati per il miglioramento della produzione del latte e/o del benessere animale.
Questa attività di servizio è presente in alcune regioni, ma tende oramai a scomparire del tutto, rendendo necessario all’allevatore affidarsi a servizi di consulenza tecnico-veterinaria di natura privata. Laddove i servizi di consulenza privata sono utilizzati in misura costante e significativa, in alcuni casi anche per i controlli sulla qualità del latte stesso, agli occhi dell’allevatore il servizio del semplice controllo funzionale del latte proposto dall'Associazione italiana allevatori (Aia) risulta ridondante.
Un discorso a parte va fatto per il processo di digitalizzazione, che sta attraversando i sistemi economici a livello globale e ha già prodotto interessanti mutamenti anche nella zootecnia: gli allevamenti di dimensioni maggiori stanno progressivamente dotandosi di innovazioni, la cosiddetta “zootecnia di precisione”, che per mezzo della robotica e di nuove tecnologie digitali sono in grado di modificare significativamente l’organizzazione degli allevamenti, incrementando il benessere animale e alleggerendo il lavoro umano.
Se allo stato dell’arte l’adozione completa di queste possibilità tecnologiche rappresenta una possibilità concreta solo per le aziende di maggiori dimensioni, un utilizzo parziale di alcune di queste tecnologie potrebbe essere possibile per un numero maggiore di aziende e comunque tendenzialmente in crescita in prospettiva futura. Sarebbe necessario offrire un servizio di diffusione di conoscenza e assistenza in relazione a queste tematiche.
Ulteriori elementi sui quali sarebbe necessario investire sono il rapporto con l’utenza e il marketing: al mutamento dell’assetto strutturale in termini di mission e competenze collegate, andrebbe fatta seguire una trasformazione nel rapporto con i primi clienti del servizio di Aia, ovvero gli allevatori. Questi dovrebbero essere approcciati con proposte all’avanguardia in termini di servizi e competenze offerte che possano tornare a far identificare il sistema allevatoriale come un punto di riferimento per il miglioramento delle performance aziendali da parte degli allevatori.
Le criticità evidenziate e gli spazi di miglioramento individuati relativamente al sistema di servizi offerti da Aia sono di particolare importanza anche alla luce del recente Regolamento europeo del giugno del 2016 relativo alle condizioni zootecniche e genealogiche applicabili alla riproduzione, agli scambi commerciali e all’ingresso nell’Unione europea di animali riproduttori di razza pura. Tale Regolamento nasce dalla volontà di armonizzare le normative degli Stati membri relative alla produzione di animali di allevamento dotati di particolari caratteristiche genetiche.
La creazione di norme uniformi per tutta l’Ue tenderà sul versante esterno a rafforzare la capacità competitiva della zootecnia europea nei confronti del resto del mondo e, sul versante interno, offrirà la possibilità a strutture che sinora hanno svolto la loro attività prevalentemente all’interno dei propri confini nazionali di operare anche al di là di questi. In sostanza, le strutture di selezione e sostegno tecnico per la zootecnia entreranno maggiormente in competizione e certamente quelle che si presentano fragili o non all’avanguardia incontreranno maggiori difficoltà.
Daniela Freddi è ricercatrice Ires Emilia Romagna