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Gli esuberi sono 1.500: nell'area tecnica 700, altri 700 nel ramo commerciale, il restante centinaio nell'area staff. Questi i numeri squadernati dal colosso della telefonia Wind Tre per il piano industriale 2020-2023: si parla della necessità di evitare “ridondanze” e rischi di “obsolescenza professionale”, paroloni dietro cui si nascondono i licenziamenti. Il piano è stato presentato giovedì 13 febbraio, per oggi (martedì 18) è previsto il secondo incontro tra azienda e sindacati, che poi continuerà nella giornata di mercoledì 19 febbraio.
Prosegue, dunque, il dimagrimento della società: nel 2016, quando Wind e Tre si sono fuse, la nuova company contava 9 mila dipendenti, mentre ora sono scesi a circa 6.500. Una riduzione dovuta al completamento della fusione, ma anche alla scomparsa di alcune figure professionali, al proseguimento dei processi di digitalizzazione e alla concorrenza di operatori “leggeri” che spingono forsennatamente sulla competizione dei costi. Da parte dell’azienda sembra esserci disponibilità nella gestione condivisa degli esuberi, che dovrebbero essere realizzati mediante un mix di esodi incentivati, insourcing di nuove attività, ri-professionalizzazioni e formazione certificata.
“Nel triennio siamo nelle condizioni, con la nostra cassetta degli attrezzi, tra uscite volontarie e ri-professionalizzazioni, di monitorare e gestire la situazione di Wind Tre senza atti unilaterali e traumatici”, commenta il segretario nazionale della Slc Cgil Riccardo Saccone, fiducioso che con la cosiddetta “contrattazione di anticipo” si possa gestire la situazione: “Tuttavia, qualora il gruppo dovesse confermare 1.500 esuberi, noi non saremmo d’accordo. Restiamo contrari a ogni futura decisione unilaterale di tagliare l'occupazione”.
Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil nazionali rilevano “l’urgenza di gestire una fase complessa di transizione tecnologica e, quindi, anche professionale”, salutando con favore “il fatto che l’azienda abbia deciso di provare a condividere un percorso comune, quindi anche un modello”, un risultato che va ascritto “anche alle mobilitazioni di questi mesi”. Ma sottolineano che “occorre essere molto chiari sulle priorità sindacali. In questi anni molte persone sono uscite dal perimetro di Wind Tre e, con esse, spesso sono uscite molte attività anche pregiate: per noi la priorità resta sempre la difesa dell’occupazione di qualità”.
Da qui la necessità di procedere a una “rigorosa ricognizione di tutto il perimetro aziendale”. Slc, Fistel e Uilcom vogliono sapere “quanto lavoro c’è oggi in azienda, quanto potrebbe essere eroso dalla digitalizzazione e dall'ultimazione dei processi di fusione, quanto lavoro nel frattempo è uscito e quanto dovrà rientrare sotto forma di re-internalizzazioni”. Con questo approccio, anche “con l’ausilio delle uscite volontarie e di strumenti quali l’art. 4 della Fornero, e condividendo un percorso che toglie l’unilateralità dal tavolo”, per i sindacati sarà possibile “riportare Wind Tre sul solco di una tradizione di relazioni partecipate e condivise, in nome di quella contrattazione d’anticipo con la quale stiamo provando, nel settore, a governare il combinato disposto dell’azione dirompente della rivoluzione tecnologica, del calo drammatico dei fatturati nell'ultimo decennio e della pressoché totale assenza di un ‘piano Paese’ per il mondo delle telecomunicazioni”.