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“Compra una borsa vinci uno stage”. Questo è il concorso lanciato dal marchio Carpisa, rivenditore di valigeria, borse e accessori. Se hai tra i 20 e 30 anni, dopo aver acquistato una borsa e aver presentato un progetto di comunicazione, potrai partecipare a una selezione per avere l’opportunità di fare uno stage di un mese all’interno dell’azienda, con un rimborso di 500 euro; una minima retribuzione, sostenuta però dalla spesa fatta da tutti quelli che hanno tentato la sorte.
“Un concorso svilente e irrispettoso per i tanti giovani che studiano, s'impegnano e aspirano a un lavoro nel settore del marketing e della comunicazione. Non è la prima volta che un’azienda propone un concorso con in palio uno stage per rilanciare le proprie vendite: già qualche anno fa, infatti, alcune catene di supermercati davano la possibilità di inviare una cartolina per partecipare all’estrazione del premio lavorativo”, commenta Fabrizio Russo, segretario nazionale Filcams.
immagine dal sito Carpisa
Carpisa condiziona la partecipazione non solo all’acquisto di un proprio articolo – incremento delle vendite – ma anche alla presentazione di un’idea per il lancio sul mercato della capsule collection Carpisa, firmata da Penelope e Monica Cruz. La proposta del vincitore sarà poi realizzata dall’azienda, ma anche le altre idee dei partecipanti diventano di proprietà dell’azienda e devono essere libere da copyright, come prevede l'articolo 10 del regolamento: “Con l’invio del/i proprio/i contenuto/i i partecipanti rinunciano a qualsiasi diritto sullo/gli stesso/i (diritto che sarà riconosciuto al promotore), e non potranno avanzare richieste economiche per l’eventuale futuro utilizzo. I contenuti dovranno essere liberi da copyright e non saranno restituiti).
Una proposta che alimenta un'errata concezione del lavoro: “Ancora una volta si fa leva sulle necessità di chi è più in difficoltà, di chi in questo momento fatica a trovare un’attività e un concreto sostegno economico, ma soprattutto si continua ad alimentare l’idea che il lavoro sia una concessione invece che un diritto, e che sia lecito e giustificato sfruttare le idee e la manodopera senza un’adeguata retribuzione”, conclude il dirigente sindacale della Filcams.