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È passato quasi un anno dalla conclusione della gara di aggiudicazione vinta da Am Investco, e più di sette mesi (anche se con lunghe pause) dall’inizio della trattativa sindacale, ma il futuro dell’Ilva è ancora tutto da costruire. Passate le ferie pasquali, e in attesa degli sviluppi della situazione politica, il confronto intanto riprende oggi (mercoledì 4 aprile) a Roma, presso la sede del ministero dello Sviluppo economico. L’ultimo incontro, di giovedì 29 marzo, è stato ancora “di ricognizione” (come l’ha definito la viceministro Teresa Bellenova), e i sindacati si aspettano ora di entrare nel vivo della vertenza.
“Siamo disponibili al negoziato, ma questo non può essere vincolato ai tempi, ma ai contenuti e alle soluzioni rispetto ai temi finora discussi”. Questa la posizione della Fiom Cgil, che continua a ritenere di “assoluta importanza la continuità dei rapporti di lavoro e il mantenimento dei diritti acquisiti e dei livelli retributivi di ciascun lavoratore”. Una questione che “non ha prodotto da parte del governo, come promesso in varie occasioni, alcun chiarimento di carattere normativo e che, anche alla luce della legislazione italiana, deve mantenere inalterata questa condizione di tutela nei confronti dei lavoratori”. Per la Fiom è dunque da escludere “qualsiasi soluzione che possa prevedere una diversificazione dei trattamenti normativi ed economici tra i lavoratori”.
Il sindacato dei metalmeccanici Cgil richiama l’attenzione anche sulle “decisioni che assumerà l'Antitrust e sulle conseguenze che potrebbero determinarsi sul perimetro del ramo d'azienda e delle sue attività, ma anche di realtà di Arcelor Mittal presenti in Italia, come la Magona di Piombino”. La Fiom, infine, interviene anche sugli impianti di Genova e Taranto: per quanto riguarda il capoluogo ligure, l’intesa “dovrà avere assoluta coerenza con gli impegni sottoscritti nell'Accordo di programma”, mentre per lo stabilimento pugliese “le questioni di ambientalizzazione e di bonifica dell’impianto dovranno essere parte integrante dell'accordo sindacale, a partire dal Dpcm e dal successivo protocollo proposto dal governo, e dalle osservazioni da noi presentate”.
La vertenza, come noto, è particolarmente complicata. E tocca numerose questioni, a partire dall’occupazione. L’offerta dei nuovi acquirenti (Arcelor Mittal e Marcegaglia), che finora su questo punto non hanno fatto alcuna apertura, è di 10 mila addetti alla nuova gestione e 4 mila esuberi, che dovrebbero essere gestiti dall'amministrazione straordinaria attraverso l’avvio della cassa integrazione e il reimpiego nelle operazioni di bonifica. A questi si sommano le centinaia di lavoratori delle aziende dell’indotto, di cui per ora non si è quasi mai parlato. Numeri ovviamente inaccettabili per i sindacati, che appunto attendono la ripresa del negoziato per entrare nel merito della questione.
Altro tema dirimente è il via libera dell'Antitrust europeo sull’operazione, previsto (dopo una serie di rinvii) per il 23 maggio, senza il quale non può esserci il “closing” della vendita. È già noto che Bruxelles chiederà ad Arcelor Mittal e Marcegaglia di mettere sul piatto più di una rinuncia per ottenere il sì dell'Antitrust. Il negoziato tra Am Investco e autorità europee sta andando avanti in modo serrato, e l'approccio di entrambi sembra essere positivo. A spingere sull’ottimismo ci sono anche le intenzioni dichiarate dei due acquirenti: Marcegaglia si è detta pronta a uscire da Am Investco se sarà necessario, mentre Arcelor Mittal ha offerto la propria disponibilità a dismettere produzioni e impianti al di fuori del perimetro Ilva pur di ottenere l'ok di Bruxelles.
A turbare la difficile trattativa, però, c’è ora anche l’incertezza politica seguita al voto del 4 marzo scorso. Il Movimento 5 Stelle, infatti, ha più volte dichiarato di voler spegnere l’Ilva per avviare una grande riconversione basata su bonifiche e nuove attività. Una soluzione che in questi giorni ha registrato la netta opposizione del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. “Se qualcuno va dagli operai di Taranto e gli dice che tanto Lega e M5S nazionalizzano e trasformano tutto a gas, quindi è meglio non chiudere la trattativa, salta l’investimento e ci ritroviamo con Bagnoli 2 (tre volte più grande) e 20 mila persone per strada” ha scritto su Twitter, precisando che “l'accordo per sbloccare 2,4 miliardi di investimenti produttivi e ambientali è vicino, quindi vanno evitate pericolose fughe dalla realtà”. Per il ministro “il ruolo delle parti è decisivo, e il percorso fatto da sindacati e azienda ha già avvicinato le posizioni. L'obiettivo della tutela di tutti i lavoratori è a portata di mano. Dovere del governo è ricordare che Ilva ha cassa fino a giugno e che la normativa Ue sugli aiuti di stato rende soluzioni alternative alquanto impervie”.