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“Il sistema di produzione della Toyota è l’invenzione più importante dopo la linea di montaggio di Henry Ford”. Così riconosceva la Harvard Business Review nel 2014, a sessant’anni dai primi studi dell’ingegner Taiichi Ohno, anche nei supermercati americani, da dove gli venne l’idea che l’impulso al processo produttivo dovesse venire dai clienti. In questi anni il Toyota Production System di strada ne ha fatta, assumendo nomi diversi a seconda delle situazione e delle culture: lean production, just in time, total quality. Poco se ne è discusso, se non quando Sergio Marchionne ha riorganizzato la Fiat secondo la variante toyotista del World class manufacturing.
Il Wcm è stato l’occasione dello scontro con la Fiom per il suo impianto di governo dell’impresa: comando diretto del management, disintermediazione sindacale, partecipazione in via gerarchica dei lavoratori. Il toyotismo è stato il modo per riorganizzare anche in Italia tantissime imprese, grandi e medie, soprattutto quelle impegnate nella competizione globale, come quella del presidente di Federmeccanica, ma si è diffuso anche nell’edilizia e nella logistica, in uffici comunali e ospedali, nei trasporti e nella banche. Con il suo principio “avere a disposizione ciò che serve solo quando serve”, anche la forza lavoro, il just in time ha innescato il vasto processo di precarizzazione del lavoro e con la sua idea che i lavoratori devono identificarsi con la loro azienda, avendone in cambio consistenti benefit, ha fatto crescere il welfare aziendale a detrimento di quello per tutti.
Ma il “vento dell’Est” ha influito anche sulla trasformazione delle forme organizzative e delle culture politiche, ormai “né di destra, né di sinistra”. Con esso è mutata la stessa condizione esistenziale delle persone, sempre più flessibile. Nella quotidiana pratica sindacale non sono mai venuti meno i tentativi di indicare alternative a questi processi, ma tante sono state le occasioni perse. In Italia c’è stata l’anomalia del più grande partito comunista dell’Occidente; oggi c’è l’anomalia della mancanza di un partito che faccia del lavoro il fondamento del suo programma. Mario Sai, con il suo nuovo libro, “ Vento dell’est: toyotismo, lavoro, democrazia” (Ediesse, pp 177, 12 euro), fa i conti con questi cambiamenti, tentando di ricostruire il percorso che ha portato a tale esito, nella convinzione che partire dal punto di vista delle persone che lavorano, nelle manifatture come nel web, può contribuire a trovare soluzioni per una rinnovata azione sindacale e politica.