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Il 9 ottobre 1963, una colossale frana di 270 milioni di metri cubi si stacca dal monte Toc e precipita nel lago artificiale creato dalla diga che sbarra la strada al fiume Vajont, spazzando via il paese di Longarone e alcune frazioni. Circa duemila morti, alcuni corpi non saranno mai recuperati. L’invaso era stato colmato appena da un mese.
“Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui”, scrisse una penna del calibro di Buzzati, rubricando la tragedia all’ineluttabilità della natura come avviene ancora oggi. Era noto già dal processo, ma il bravo Marco Paolini con la sua orazione civile sul Vajont ha il merito di aver divulgato al grande pubblico, trent’anni dopo, che fu un’altra tragedia ampiamente annunciata. Annunciata soprattutto dai coraggiosi articoli di una grande donna, la giornalista ex partigiana Tina Merlin de L’Unità (L’Unità di allora), trascinata in giudizio dalla società costruttrice SADE, ed assolta grazie alle testimonianze della popolazione locale.
Vale la pena ricordare che la diga era parte del progetto Grande Vajont, una grande opera che impiegò molti finanziamenti pubblici, costituita da un sistema di dighe per la produzione di energia idroelettrica, di cui quella del Vajont era il gioiello. Allora era la diga più alta del mondo a doppio arco, orgoglio e primato dell’Italia. Furono persino realizzati due cortometraggi di propaganda dalla SADE.
Era veramente tecnicamente ben fatta, la diga, ed è ancora lì a far da spalla alla collina che riempie l’invaso, come una gigantesca lapide sulle duemila vittime del consueto nostrano miscuglio di reticenze, corruzione, interessi e, non ultima, viltà di blasonati professionisti. Una lezione da ricordare a chi promette centomila posti di lavoro per costruire il ponte a campata unica più lungo del mondo in una delle zone più sismiche d’Italia.
La targa del familiare di una vittima del Vajont riporta pochi elementari ma significativi versi: “Diga funesta per negligenza e sete d’oro altrui persi la vita che insepolta resta.”
Agnese Palma è Segretaria Fisac Cgil Roma Sud Pomezia Castelli