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Ieri la graduatoria degli atenei stilata dal Censis in base a parametri decisamente opinabili, oggi una ricerca che arriva dagli Stati Uniti sul presunto nepotismo in alcune università italiane. I quotidiani a larga diffusione si sono lanciati in una sorta di processo alla condizione universitaria che non solo non coglie gli aspetti veri e drammatici del problema, ma finisce per alimentare il discredito nei confronti degli atenei, tranne che per le “solite” eccellenze, in una stagione cruciale per centinaia di migliaia di famiglie, che dovranno decidere se e dove immatricolare i figli appena maturati.
Lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo ancora: non esiste alcun criterio scientifico nell'elaborazione delle graduatorie per gli atenei. Esiste però una certezza: in questi anni le poche risorse dell’università sono state distribuite a favore di alcune università penalizzando gran parte del sistema e contribuendo a indebolirlo. In sostanza i tagli sono stati ripartiti in modo disuguale colpendo le aree più deboli a partire dal Mezzogiorno, ma non solo. Nessuno nega che esistono patologie nel sistema universitario ma le cicliche “giornalate” che nascono dal caso specifico di nepotismo o presunto tale sono state in questi anni lo strumento per legittimare tagli impensabili in qualunque altro paese, e interventi normativi i cui effetti deleteri ormai non nega nessuno.
Non può sfuggire che l'accanimento verso alcuni atenei in particolare, sia pure ingenuo e "per diritto di cronaca", alimenta la già massiccia fuga dei giovani dal Sud verso il Nord guarda caso proprio quando si tratta di scegliere la sede. Nel 2016 sono stati 25mila gli immatricolati del Sud in atenei del Nord, il 10 per cento sull'intera massa degli studenti, ma il 30 se si considerano solo quelli meridionali. E poiché il sistema universitario è stato congegnato come un cane che si morde la coda, meno iscritti uguale a meno risorse, e meno risorse uguale a minore offerta formativa.
Quando finirà questa retorica dell’eccellenza funzionale a precisi interessi territoriali che si sostanzia nei fatti verso un attacco a tutto il sistema universitario? Quando alcune università saranno costrette a chiudere? Davvero questo si vuole? E i media non si fanno, loro malgrado, complici, dal momento che difficilmente raccontano la verità complessa e articolata del sistema? Il fatto è che esiste, e lo abbiamo denunciato ormai da anni, un vero e proprio allarme per l'alta formazione universitaria, che colpisce in modo violentissimo proprio il Mezzogiorno e le aree depresse del Paese, suscitato proprio da quella barocca e inefficace ideologia della "eccellenza" e del "merito", che crea inutili competizioni tra atenei, inutili sfide, inutili graduatorie.
Quando finalmente anche l'opinione pubblica sarà in grado di considerare un docente, un dipendente, un laureato, uno studente della Federico II di Napoli (giunta ultima nella graduatoria del Censis) degni della stessa autorevolezza e dello stesso rispetto accademico e scientifico degli altri, allora saremo davvero fuori dall'allarme. Se invece si persegue nella definizione di classifiche usando parametri molto contestabili, allora vuol dire che siamo ancora sulla stessa rotta distruttiva. Occorre cambiare segno e politiche verso l'alta formazione universitaria: investire risorse raggiungendo i grandi Paesi europei, stabilire criteri diversi per la distribuzione delle risorse, e infine lavorare per rendere davvero universale l'accesso partendo da investimenti veri nel diritto allo studio.
Francesco Sinopoli è segretario generale della Flc Cgil