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Per rilanciare l’università italiana occorre ripartire proprio dal Mezzogiorno, laddove si presentano le criticità maggiori di un segmento così importante per il futuro del Paese. Le proposte in materia di Cgil e Flc sono state presentate oggi (16/12) in un denso documento, nel corso dell’iniziativa che si è svolta a Roma nell’ambito della campagna “Laboratorio Sud: Idee per il paese” e conclusa dal segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Quindi: aumentare le risorse, progressivamente tagliate negli anni, cambiare la politica di reclutamento e investire sul diritto allo studio. Tutti capitoli, questi, che se sono deficitari per l’intero sistema paese, colpiscono in particolare proprio il Sud.
“Rimuovere il pesante divario che separa il Sud dal resto del paese – si legge nel testo – significa puntare sulla principale determinante per la crescita dell'economia e della coesione sociale, per lo sviluppo della cittadinanza attiva e il contrasto alle diseguaglianze”. Se è vero infatti che l’Italia è ultima nell'Unione Europea per numero di giovani tra i 30 e 34 anni laureati (solo il 24%) “tale percentuale scende ulteriormente di 5 punti se si prendono a riferimento le regioni del Sud. A questo si aggiunge che un ragazzo o una ragazza su cinque non aggiunge un diploma di scuola media superiore. Una percentuale del 20% contro la media nazionale del 15% e quella europea del 11%. Al Sud più della metà dei ragazzi e delle ragazze rinunciano al percorso di studi universitari”.
Tra i tanti indicatori che sottolineano la drammaticità della situazione spicca il calo drammatico degli iscritti al primo anno: erano 338.482 nel 2003-04 si sono ridotti a 260.245 nel 2013-14. “La situazione del sistema universitario meridionale – prosegue il documento – è ben fotografata anche dall'ultimo rapporto dello Svimez da cui emerge lo strettissimo rapporto tra la drammatica condizione giovanile nel Sud e il declino dei suoi atenei e del sistema regionale di diritto allo studio”.
Il sindacato, denuncia anche una nuova forma di migrazione dal Sud che interessa soprattutto i giovani e i giovanissimi: 494 mila 15-34enni hanno lasciato il sud dal 2001 al 2013, di cui il 26% sono laureati. Dei giovani meridionali che si iscrivono all’università, quasi il 30% sceglie un ateneo fuori propria regione”. Questi risultati non sono frutto del caso, ma di “scelte politiche sbagliate perpetuate fino a oggi da diversi governi e che hanno portato al paradosso di una spesa pubblica complessivamente aumentata del 10,7% tra il 2011 e il 2014, cui è corrisposto la diminuzione di quella destinata all’università, passata dall'1,19% allo 0,95%”.
Un’assenza che tocca anche il diritto allo studio: “Nelle regioni del Sud continentale – denuncia la Cgil – circa il 40% circa degli idonei non riesce a beneficiare della borsa per carenza di risorse e la percentuale arriva al 60% nelle isole. Il disegno di legge di stabilità contiene alcuni interventi per l’università ma non rappresenta la necessaria inversione di tendenza, particolarmente grave è l'insufficienza di risorse per il diritto allo studio nonostante il preoccupante calo degli iscritti”.
Le proposte
Innanzitutto occorre aumentare le risorse: senza rifinanziare il Fondo di funzionamento ordinario delle università, “mantenendo il reclutamento ai livelli attuali e soprattutto con il diritto allo studio senza ossigeno, gli atenei del Sud saranno costretti a ridurre ancora l’offerta formativa e, di conseguenza, a veder diminuire il numero degli immatricolati”. Senza politiche di reclutamento, è inevitabile che “i giovani ricercatori o professori tenderanno a emigrare per un posto stabile o per lo sviluppo di carriera accademica. E non saranno fenomeni di mobilità, assolutamente necessari, ma vere e proprie fughe senza ritorno”. Prime misure da prendere sarebbero dunque quelle di abolire il sistema dei punti organico e attribuire le risorse in base non solo al turn-over attuale ma alle sofferenze in termini di reclutamento dei singoli atenei per come si sono manifestate negli ultimi 7 anni”.
I sindacati chiedono anche di rivedere gli attuali criteri di valutazione che “aumentano il flusso di capitale umano da Sud verso Nord”. L’attuale sistema di valutazione “è incentrato su un’ottica essenzialmente punitiva, un sistema di classifiche che ha legittimato le differenze già esistenti sulla base delle quali oggi è distribuita la quota premiale dei finanziamenti all’università in esponenziale aumento a scapito del fondo di finanziamento ordinario”.
Per far crescere il Sud è inoltre necessario “un consistente rifinanziamento del sistema del diritto allo studio, accompagnato dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, funzionali e necessari affinché si ponga fine alle profonde diseguaglianze legate all’accessibilità del percorso universitario e alla fruibilità dei servizi destinati agli studenti”.
Anche la programmazione dell’offerta va rivista, superando “la sovrapposizione di corsi negli stessi territori e la proliferazione di sedi”. Non solo: bisogna “costruire un sistema universitario non competitivo ma cooperativo. Per questo si deve partire proprio dal Sud attraverso la creazione di reti reali tra gli atenei meridionali”.
Infine, la cosiddetta terza missione dell’università: dare “un più deciso impulso alla terza missione per gli atenei del Sud al fine di aprirsi al mondo esterno e di interagire con i soggetti istituzionali, sociali ed economici interessati alla crescita intelligente, inclusiva e sostenibile del territorio”. La conoscenza prodotta va cioè “trasmessa dall’università ai settori economici e sociali strategici per la crescita del Mezzogiorno”. Perché, alla fine, conoscenza, saperi e sviluppo sono la stessa cosa: non possono esistere indipendentemente l’uno dagli altri.