Riceviamo e pubblichiamo
E’ dal 2002 che mi chiedo che cosa avvenne veramente l’Undici Settembre e negli anni ho imparato ad osservare solo e soltanto i fatti. Non ho mai trovato appassionanti le dispute senza fine fra sostenitori della versione ufficiale e cosiddetti complottisti. Come se ne esce da controversie come quelle scaturite, per esempio, intorno al foro del Pentagono? C'è chi afferma che è bello largo e chi al contrario è troppo stretto per l'impatto di un Boeing. Ma chi di noi ha mai avuto accesso alla scena del crimine?
Per tagliare la testa al toro sarebbe bastato alle autorità militari mostrare il contenuto di uno dei tanti filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza dislocate lungo il perimetro del Pentagono. Ed invece le uniche sequenze di immagini rese pubbliche non consentono in modo incontrovertibile di individuare che tipo di oggetto abbia effettivamente colpito l'edificio. Senza video, nell'era dei media, le discussioni continueranno inevitabilmente all'infinito.
Ecco perchè è consigliabile stare sui fatti e a distanza di otto anni da quell’inferno è possibile affermare senza tema di smentita che almeno da un punto di vista giudiziario non un solo processo è stato celebrato contro esecutori e mandanti del più sanguinoso atto di terrorismo della Storia. Fatta eccezione per Zacarias Moussaoui, figura di secondo piano, aspirante dirottatore arrestato pochi giorni prima degli attentati mentre si addestrava in una scuola di volo americana.
Anzi l'indiziato numero uno, Osama Bin Laden, non è ancora mai stato formalmente incriminato da un Gran Giurì per le stragi dell'11 settembre, mentre è ricercato per gli attentati contro le ambasciate degli Stati Uniti a Dar-es-Salam in Tanzania e a Nairobi in Kenia, avvenuti il 7 agosto 1998.
Sono stati invece incriminati cinque detenuti “ospitati” a Guantanamo: sono accusati di aver organizzato gli attacchi dell’11/9. Ma l’iter giudiziario che avrebbe dovuto portare i cinque presunti terroristi di fronte a una commissione militare speciale, e' per ora congelato. Il presidente Barack Obama ha infatti bloccato i processi militari a Guantanamo e intende rivedere l'intera procedura. Senza contare che ha disposto la chiusura del centro di detenzione.
A guidare il quintetto terrorista c’è il famigerato Khalid Sheikh Mohammed, ritenuto pomposamente la mente dell’undici settembre. Catturato in Pakistan nel 2003, di lui si erano perse le tracce nelle prigioni segrete della CIA sino al giugno del 2008 quando è ricomparso in un’aula di Camp Justice, una struttura per i processi ai terroristi costruita nella base navale cubana. Magro, turbante in testa, una lunga e folta barba, occhiali neri, Ksm, ha rivelato – stando alle cronache – che fu lui ad avvicinare Osama Bin Laden nel 1996 per proporgli di dirottare aerei passeggeri da far schiantare contro edifici pubblici negli Stati Uniti. Reo confesso, dunque, al tal punto da accollarsi la responsabilità di una lunga sfilza di altre nefandezze (31) tra cui spiccano il mancato assassinio dei presidenti Usa Carter e Clinton, di quello pakistano Pervez Musharraf, nonché di papa Woitila nel 1995 a Manila. Con le sue mani avrebbe tagliato invece la gola del giornalista americano Daniel Pearl. Infine ha ammesso di essere il regista del progetto “Bojinka”, non andato a segno, che prevedeva di far saltare contemporaneamente 12 aerei americani sul pacifico ben prima dell'11 settembre.
Il guaio è che queste sconvolgenti confessioni sono avvenute – per stessa ammissione della CIA - sotto tortura. Mentre cioè i suoi carcerieri lo sottoponevano alla procedura nota come waterboarding, nella quale il sospetto viene sdraiato con la testa più bassa dei piedi, bendato e legato. Gli si mette in bocca un panno, e gli si versano in faccia litri e litri di acqua, dandogli la sensazione di annegare. Una tecnica praticata durante la Grande Inquisizione. Secondo la documentazione resa pubblica da Barack Obama, Khalid Sheikh Mohammed, dopo la cattura, è stato sottoposto per 183 volte in un mese alla tortura del waterboarding, una media di sei al giorno. Il 24 agosto scorso la pubblicazione di un nuovo rapporto dell'intelligence ha gettato una luce ancora più sinistra sulla vicenda: nelle 159 pagine si legge che gli 007 che interrogarono Khalid Sheikh Mohammed lo minacciarono di uccidergli i figli di 7 e 9 anni se non avesse confessato.
Nessun tribunale americano, neppure negli anni della seconda Guerra Mondiale quando l' Fbi arrestava gli agenti hitleriani in Usa, ha mai accettato confessioni estorte con la tortura. Nella culla del “Giusto Processo” come si possono ritenere attendibili le 26 pagine di confessioni rese da Mohammed, detenuto per anni in condizioni bestiali, sottoposto a torture fisiche e mentali tali da cancellarne la personalità.
Un'eredità quella lasciata dall'Amministrazione Bush tanto imbarazzante da spingere prima il presidente degli Stati Uniti a stoppare l'operato dei Tribunali speciali militari e poi il ministro della Giustizia Eric Holder ad avviare formalmente un'inchiesta sugli abusi commessi dalla Cia. Anche il nuovo capo dello spionaggio, Leon Panetta, non si è sottratto all'opera di bonifica annunciando un piano per la chiusura delle prigioni segrete, i cosiddetti 'siti neri', molti dei quali si trovavano in Afghanistan e in Thailandia ma anche in alcuni paesi democratici dell'Europa dell'Est (Polonia e Romania). La rete dei 'siti neri' della Cia era stata smascherata quattro anni fa dal Washington Post con uno scoop che fece vincere alla sua autrice Dana Priest il prestigioso premio Pulitzer.
Nuovi documenti emersi dal Congresso mostrano che fin dall'estate del 2002 diversi esponenti dell'amministrazione Bush, compresa Condoleezza Rice (all'epoca consigliere per la sicurezza nazionale), avevano approvato l'uso dei metodi duri di interrogatorio. Alle discussioni avevano sicuramente partecipato, oltre al direttore della Cia George Tenet, anche il vice-presidente Dick Cheney, il ministro della Giustizia John Ashcroft e il legale della Casa Bianca Alberto Gonzales. Dalla discussione sembra essere stato lasciato fuori invece l'allora segretario di stato Colin Powell, forse per il timore che potesse esprimere parere contrario.
In conclusione, è chiedere troppo che vengano celebrati dei “giusti processi”, dove agli accusati venga riconosciuta l'innocenza fino a che non sia provata la loro colpevolezza, concedendogli di sapere quale siano i reati e le prove a loro carico, di avere un avvocato difensore e di contro-interrogare i testimoni? Basterebbe rispettare la Costituzione americana anche e soprattutto in nome di quasi tremila persone morte in quel maledetto giorno di settembre.
11 settembre 2009
Undici settembre 2001: che fine ha fatto la Giustizia americana?
A distanza di otto anni da quell’inferno è possibile affermare senza tema di smentita che almeno da un punto di vista giudiziario non un solo processo è stato celebrato contro esecutori e mandanti del più sanguinoso atto di terrorismo della Storia
16 settembre 2009 • 00:00