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Una piccola grande rivoluzione. In Spagna il partito socialista di Pedro Sanchez e Podemos guidato da Pablo Iglesias hanno raggiunto l’intesa sul bilancio 2019. È un patto che segna un nuovo inizio anche per il governo di minoranza. Ma soprattutto marca una cesura netta rispetto agli anni dell’austerità e del rigore. Il salario minimo viene portato a 900 euro al mese, il sistema fiscale rimodulato facendo pagare di più, anche attraverso una patrimoniale, a chi possiede di più; le pensioni saranno legate all’inflazione reale, gli assegni sociali saranno più pesanti, cresceranno le risorse destinate al diritto all’abitare e quelle per la ricerca e il contrasto della violenza di genere. Sono solo alcune delle misure previste dall’accordo che ora attende l’ok di Bruxelles e poi il voto in Parlamento. RadioArticolo1 ha intervistato Unai Sordo, segretario generale delle Comisiones Obreras.
Qual è il giudizio della vostra confederazione su questo accordo raggiunto da Psoe e Podemos?
Ne diamo un giudizio positivo. È un accordo che può permettere alla legislatura di proseguire fino alla fine del mandato e che consente di approvare il bilancio dello Stato. Ma è anche un’intesa che contiene molte misure di carattere sociale che Ccoo aveva difeso e sostenuto. L’intesa non punta in maniera chiara e netta alla deroga della riforma del lavoro del 2012; però, speriamo di riuscire a modificare anche quella attraverso la negoziazione aperta tra sindacato e governo. Quindi la nostra valutazione resta positiva.
Le Comisiones Obreras si sentono protagoniste, in qualche modo, di questo accordo?
Sì, nella misura in cui molte delle misure contenute venivano avanzate proprio dalle Comissiones Obreras da diverso tempo. È tuttavia un accordo politico, strettamente politico. Il sindacato è impegnato nel confronto con il governo e con i partiti ai tavoli del dialogo sociale, però, pur non essendo noi firmatari, di certo sentiamo di aver contribuito a molte delle misure con le nostre proposte. Soprattutto, però, credo che l’intesa vada letta in chiave politica: avevamo un governo molto debole con 84 deputati su 350, ora penso che questo accordo tra Psoe e Podemos rafforzi la posizione del governo e dell’opposizione di sinistra e possa quindi permettere di approvare i conti dello Stato, raggiungendo il termine della legislatura.
In un’intervista a El Pais, il leader di Podemos Pablo Iglesias definisce questo accordo un punto di partenza che, secondo lui, culminerà in un governo di coalizione. Vi preoccupa il fatto che in questo momento in Spagna il governo Sanchez sia un esecutivo di minoranza? In altre parole, l’obiettivo politico vero è tradurre questa intesa in un patto che garantisca stabilità al Paese?
Sì, in effetti siamo di fronte a qualcosa che va al di là di un’intesa per approvare la legge di bilancio; dà la sensazione di essere un accordo di governo che, come dicevo prima, credo che garantisca in un certo modo che si arrivi al termine del mandato. Poi ci saranno le elezioni e lì vedremo che tipo di coalizioni scenderanno in campo. I partiti di destra in Spagna stanno guadagnando molti consensi come mai era accaduto nella vita democratica del Paese nel corso degli ultimi quarant'anni. Al momento l’esito delle future elezioni pare incerto, però credo che con queste misure – sociali e di ridistribuzione della ricchezza – le forze progressiste e la sinistra possano dare un impulso al Paese, perché la Spagna già da quattro anni è ufficialmente fuori dalla crisi economica, ma i salari non sono aumentati a sufficienza e molta parte delle persone che lavorano vive con redditi da povertà. Quindi penso che l’aumento del salario minimo e la ridistribuzione della ricchezza attraverso la riforma fiscale e maggiori protezioni sociali andrà a beneficio della maggioranza della popolazione. In ogni caso, vedremo quali effetti politici avranno queste misure quando si andrà al voto.
Possiamo considerare l’accordo tra Psoe e Podemos una piccola grande rivoluzione rispetto agli anni dell’austerità del passato governo Rajoy?
Sì, in effetti lo credo, e non solo perché è grande il contrasto con le politiche di Mariano Rajoy. La Spagna ha sofferto, come d’altronde anche l’Italia, gli effetti di una politica di rivalutazione interna morto forte sulla spinta del contesto europeo. Abbiamo assistito a un cambio di orientamento in politica e da noi sta succedendo qualcosa di molto rilevante: ovvero che i partiti progressisti stanno dimostrando di essere in grado non solo di dialogare, ma anche di stringere un accordo politico e ciò è ancor più rilevante, visto che storicamente in Spagna non esiste una cultura del genere. Credo che l'intesa segni un punto anche su questo terreno.
Ti trovi a Palermo, in occasione di Sabir, il festival delle culture mediterranee diffuse e ti stai confrontando con altri sindacalisti del Sud d’Europa sul tema della protezione e dei diritti dei migranti, ma anche su come rilanciare il partenariato nella regione del Mediterraneo. Un’iniziativa che vedrà la presenza di molte organizzazioni della sponda sud del nostro mare, e per le confederazioni italiane dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Camusso, Furlan e Barbagallo. Condivisione e incontro sono le vostre parole chiave?
È importante dare forza a una posizione unitaria dei sindacati del Mediterraneo, sia della sponda meridionale sia di quella europea. Ritengo che quello che sta accadendo sull’immigrazione con i respingimenti, con i rifugiati e i richiedenti asilo, non sia accettabile. L’Europa deve avere una politica condivisa sui rifugiati e sulle migrazioni. Non è una questione che tocca solo i Paesi del Sud, ma l’intera Unione. Occorre rispettare i diritti umani innanzitutto. E poi è necessario favorire politiche di sviluppo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Credo che il movimento sindacale, cercando spazi di dialogo tripartito con i governi, debba essere un protagonista fondamentale di un’Europa più solidale, di accoglienza e più responsabile; un problema che avevamo anche in passato e che evidentemente non può essere risolto senza comprendere la complessità di una materia come quella delle migrazioni e dei richiedenti asilo. Credo che su questo i sindacalisti europei e nordafricani abbiano un contributo molto grande da offrire.