Salvare i livelli occupazionali e preservare il territorio da un ulteriore depauperamento e sfruttamento. Sono queste le due questioni fondamentali che ruotano attorno alla vertenza della Banca Popolare di Bari e alla paventata chiusura della direzione di Potenza.
130 famiglie sono a rischio mobilità e/o licenziamento, ma potrebbero essere molte di più dal momento che il piano di riorganizzazione presentato dalla banca si caratterizza per diverse incognite. Prima di tutto non si parla esplicitamente di licenziamenti ma di esternalizzazione delle lavorazioni, con un costo aggiuntivo per l’azienda e senza alcuna specifica rispetto ai lavoratori. In secondo luogo, l’azienda dichiara 500 esuberi su tutto il territorio nazionale. Tenendo conto che a Potenza ci sono sette filiali, 33 in tutta la Basilicata, il numero dei lavoratori a rischio in Basilicata potrebbe crescere ulteriormente.
Si tratta di un dietrofront rispetto agli accordi stabiliti in precedenza e un tradimento nei confronti del territorio lucano che da dodici anni accoglie questo istituto di credito che si è sempre dichiarato come polo di riferimento bancario del sud e che oggi, invece, lo penalizza senza alcun riguardo nei confronti dei propri dipendenti e degli azionisti che nel tempo hanno deciso di investire, consentendo all’istituto di andare oltre la semplice raccolta depositi. È evidente che la Banca Popolare di Bari ha scelto di svincolarsi dalla Basilicata accampando un piano riorganizzativo dal quale non emerge alcuna prospettiva di rilancio sul territorio ma soltanto tagli ingiustificati al personale e fini a sé stessi, per risparmiare qualche soldo.
Risale a un anno fa l’accordo sottoscritto con i sindacati sul piano industriale, accordo che prevedeva, tra l’altro, la solidarietà del personale che, su base volontaria, per quattro anni avrebbe dovuto versare all’azienda 10 giornate lavorative all’anno. Ma l’intesa non è mai divenuta operativa, visto che l’azienda si è sottratta ai confronti successivi. È inaccettabile che, dopo la mancata attuazione di quanto previsto in quell’accordo, oggi l’azienda decida indiscriminatamente di apportare ulteriori tagli.
A tali condizioni, è necessario porre in essere una battaglia comune che coinvolga anche le altre regioni interessate, come Abruzzo, Puglia e Umbria, una grande mobilitazione atta a preservare i lavoratori e i territori.
* Angelo Summa è segretario generale Cgil Basilicata