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Un piccolo pezzo di storia per Napoli e per il Sud. È così che durante la manifestazione dello scorso 5 dicembre a Napoli è stato definito il percorso, appena cominciato, di “Un popolo in cammino”. Tutto inizia durante lo scorso settembre: sono passati pochi giorni dall’uccisione di Genny Cesarano, ennesima vittima innocente della criminalità, colpito da un proiettile mentre stava trascorrendo una serata in compagnia dei suoi amici, a pochi metri da casa sua.
La storia di Genny però non fu raccontata così. Di lui si disse che era un delinquente, un camorrista. Ci si chiese cosa ci facesse lì, a quell’ora. Ignorando, o fingendo di ignorare, la più semplice della verità: che ci faceva lì? Stava lì perché quella era casa sua, la sua città. Genny è una vittima innocente: suo padre Antonio, un uomo di straordinario coraggio, lo sta dicendo a gran voce da quella terribile notte. Ma all’innocenza di Genny non bastò l’evidenza dei fatti per essere dimostrata: se nasci alla Sanità, al Rione Traiano, a Scampia, a Ponticelli, parti colpevole in ogni processo e la tua innocenza la devi dimostrare con prove inconfutabili, e quel timbro che ti porti addosso lascerà sempre un’ombra, un dubbio: Sì, però, bisogna vedere, ma che ci faceva lì, a quell’ora? Viveva la sua vita, cercava di farlo in modo normale, Genny Cesarano, diciassette anni, vittima innocente della camorra.
Una storia che scosse la coscienza dell’intera città e fece nascere in tanti l’urgenza di reagire e di farlo insieme, costruendo una mobilitazione che riunisse un fonte ampio e rappresentasse la voce e le istanze del popolo della città. Ci siamo riusciti, insieme, dando vita a un movimento che ha riunito quindici comunità parrocchiali, la Cgil, Libera, le organizzazioni studentesche, i disoccupati, i precari, i movimenti, le associazioni: il popolo che è sceso in piazza nella grande manifestazione di sabato 5 dicembre, con alla testa un solo striscione che sintetizzava le ragioni della nostra mobilitazione: “Un popolo in cammino: per la giustizia sociale, contro le camorre “. Secondo molti si è trattato della più grande manifestazione di sempre contro la camorra, o meglio contro “le camorre”, come abbiamo scelto di dire per evidenziare che camorre non sono soltanto quelle che sparano per strada, e uccidono degli innocenti, ma anche quelle che impongono il controllo militare del territorio o che inquinano terreni e falde acquifere, quelle che si infiltrano nell’economia e ormai controllano interi pezzi di mercato e di economia cosiddetta “legale”.
Camorre sono quelle che nel nostro territorio sfruttano e schiavizzano i lavoratori agricoli attraverso il caporalato, o quelle infiltrate nei grandi appalti pubblici, dalla sanità all’edilizia, condizionando pesantemente il mercato e ponendosi come uno dei fattori di maggiore ritardo nello sviluppo del Mezzogiorno, e quindi come un forte freno all’occupazione. È evidente che oggi come ieri, in particolare al Sud, la lotta per il lavoro e per i diritti dei lavoratori passa attraverso la lotta contro le mafie, e non può prescindere da essa. Al tempo stesso, il più forte strumento di contrasto alle mafie è proprio quello della giustizia sociale: le mafie si sconfiggono sul piano economico e sociale, attraverso il lavoro, la rigenerazione urbana, il diritto allo studio, le politiche sociali.
Queste le idee che hanno portato diecimila persone, lo scorso 5 dicembre, a marciare fino alla Prefettura di Napoli. Al termine della manifestazione una delegazione ha incontrato il Prefetto di Napoli chiedendo di aprire un confronto permanente sui temi della manifestazione. Il confronto proseguirà quindi nel mese di gennaio, in una serie di incontri in Prefettura con la presenza anche degli enti locali e dei Ministeri competenti. Fino ad allora Un popolo in cammino strutturerà le sue proposte sui temi del lavoro, dell’istruzione e della sicurezza sociale. Si parte da alcune questioni: l’agricoltura, che rappresenta una delle principali economie potenziali della nostra città, visto che un quinto del territorio comunale è costituito da terreni agricoli oggi per la maggior parte abbandonati. E poi cultura e turismo, e il grande tema della rigenerazione urbana, fino agli strumenti per garantire l’apertura delle scuole al territorio e rendere l’istruzione davvero accessibile a tutte e tutti. Prossimo appuntamento la grande assemblea cittadina del 16 gennaio, quando su queste questioni saranno strutturate delle proposte tecniche da discutere al tavolo con gli enti locali e il Governo.
Un percorso con lo sguardo lungo, quindi, quello di Un popolo in cammino. Ma che intanto ha avuto già un grande merito, quello di ricomporre un fronte ampio e trasversale della città. Lo ha fatto partendo dai bisogni, dalle condizioni materiali, dimostrando che non esiste nulla di più politico di ciò che ha a che fare con i sentimenti delle persone, con le loro aspettative, i loro sogni, il loro coraggio, la loro voglia di decidere del proprio futuro, di determinare la propria vita. E forse deve significare questo, o anche questo, fare sindacato oggi, in una città complessa come Napoli: dare voce a quei bisogni, a quelle aspettative, rappresentare le marginalità, osservare la realtà con lo sguardo di chi vive drammaticamente sulla propria pelle gli effetti della crisi. Il percorso che #UnPopoloinCammino ha avviato a Napoli ha in questo la sua forza: che è un cammino con le idee chiare e una straordinaria lucidità ma, soprattutto, che raccoglie una grande complessità: quella rappresentata dalla carne viva della città. È un percorso pieno di coraggio, di determinazione, e di umanità.