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Il 3 e il 4 di aprile i leader dei sindacati del Paesi del G7 si sono incontrati ad Ottawa per dare vita alla riunione di Labour7, il cosiddetto L7, la riunione sindacale che una volta l’anno si tiene in corrispondenza della riunione dei capi di stato e di governo delle sette economie più importanti del pianeta e della riunione dei ministri del Lavoro del G7. In previsione dell’incontro del G7 previsto per l’8 e il 9 giugno prossimi a La Malbaie, nella regione canadese di Charlevoix, il sindacato Canadian Labour Congress – in collaborazione con la Confederazione sindacale internazionale e con il Tuac, il comitato sindacale consultivo che opera presso l’Ocse – ha organizzato la riunione di L7. L’incontro ha permesso ai leader sindacali non solo di discutere al proprio interno delle principali questioni economiche e sociali a livello internazionale, ma anche di svolgere una intensa e proficua consultazione con il governo canadese, per consegnare ad esso le richieste e le proposte dei sindacati in vista del vertice G7 di giugno.
Va sottolineato che la partecipazione e l’impegno del governo del Canada in questa circostanza sono stati del massimo livello possibile. Nel corso dei due giorni della riunione sindacale, hanno discusso con la delegazione L7 il primo ministro del Canada Justin Trudeau, il ministro degli Esteri Chrystia Freeland, il ministro del Commercio internazionale François-Philippe Champagne, il ministro del Lavoro Patricia Hajdu, il ministro per la condizione femminile Maryam Monsef, l’incaricato del governo per il G7 Peter Boehm. Come si vede, una presenza importante che testimonia di per sé il riconoscimento e il rispetto del ruolo del sindacato da parte del governo canadese e del primo ministro.
Al prossimo vertice del G7 i leader sindacali hanno lanciato pochi ma significativi messaggi. Il mondo continua ad essere segnato da crescenti disuguaglianze e da un’assenza di regole condivise per il governo dell’economia nella globalizzazione. Le classi medie, nei paesi più avanzati ma non solo, conoscono un serio processo di peggioramento delle proprie condizioni, fatto che – insieme alle distorsioni consolidate nella distribuzione globale della ricchezza e all’enorme potere che si concentra nelle mani della finanza e delle multinazionali – mette seriamente a rischio la coesione nelle società e la tenuta dei sistemi di sicurezza e di protezione sociale. Per contrastare tutto ciò, i sindacati di L7 hanno rivolto al governo canadese la richiesta di sostenere nel G7 la necessità di contrastare la riduzione sistematica degli ambiti e della copertura della contrattazione collettiva e di promuovere, al contrario, il dialogo sociale e l’estensione dei diritti alla contrattazione come una delle scelte chiave per il futuro.
Al centro delle priorità dei governi del G7, secondo i sindacati, dovrebbe esserci il rafforzamento del potere di contrattazione del mondo del lavoro, per far sì che siano inclusi nei diversi round negoziali ad ogni livello i temi del futuro del lavoro, della digitalizzazione dell’economia, della robotizzazione e della nuova rivoluzione produttiva, dell’eguaglianza di genere, dell’empowerment delle donne, dell’energia pulita, del cambio climatico. In una parola, occorre individuare soluzioni contrattuali condivise per permettere anche ai lavoratori di ottenere risultati positivi dal processo economico globale e di non essere spettatori passivi del cambiamento in corso. È questa la precondizione per realizzare nuovi modelli di produzione e di crescita economica di carattere sostenibile e inclusivo.
Un altro tema decisivo per il futuro è quello che riguarda la piena occupazione e la creazione di lavori di qualità. In questa direzione, i sindacati di L7 accolgono con favore l’ipotesi di creare una Task Force del G7 sull’occupazione. Affinché questa scelta non resti sulla carta, c’è però bisogno del coinvolgimento attivo delle parti sociali nell’attività e nell’elaborazione delle proposte politiche concrete della Tax Force stessa, per assicurare che le lavoratrici e i lavoratori in tutto il mondo non siano penalizzati nel processo di transizione in atto nello scenario dell’economia globale. Al G7, inoltre, i sindacati chiedono di definire un ambizioso programma per l’eguaglianza di genere e per il rafforzamento del ruolo delle donne, con azioni concrete per contrastare violenze e molestie, per superare il divario salariale di genere, per incrementare la partecipazione della forza lavoro femminile in un contesto di buona occupazione. Così come andranno definite modalità di lavoro comune e di cooperazione internazionale per affrontare il tema dei vuoti regolatori determinati da modelli di impresa distorti nell’economia digitale, a partire dalla definizione di regole e standard che impediscano la diffusione di lavoro precario e sottopagato nelle piattaforme digitali.
Infine, anche e soprattutto alla luce della discussione sul Ceta (l’accordo commerciale tra l’UE e il Canada) e sugli altri grandi trattati internazionali, i sindacati hanno chiesto al governo canadese di proporre al G7 una agenda progressiva sugli investimenti e sul commercio internazionale, che comprenda clausole sul rispetto dei principali diritti del lavoro definiti nelle convenzioni OIL, che difenda l’azione regolatoria a tutela di lavoratori e cittadini, che assicuri servizi pubblici di qualità, che obblighi le imprese al rispetto della responsabilità sociale nella catena globale di fornitura. Alla riunione di L7 il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha guidato la delegazione italiana, composta da dirigenti dei dipartimenti internazionali di Cgil, Cisl e Uil. Su tutti i temi oggetto della discussione e del documento finale di L7, il sindacato italiano ha portato il proprio contributo, con l’obiettivo di provare a incidere nel percorso decisionale del G7.
Una considerazione finale, ma non poco importante. Come detto, alla riunione dei sindacati di L7 hanno partecipato il primo ministro e quattro ministri del governo canadese, tra cui tre donne. Si è trattato di una partecipazione attiva, che ha portato alla discussione un contributo non burocratico o notarile ma una idea di valori, di società, di progresso, di futuro. Ecco, questo esempio parla e dice molto a chi, in Italia ma non solo, ha teorizzato la cosiddetta “disintermediazione”, a chi ha pensato alla fine del ruolo di corpi intermedi e di forze sociali organizzate. Di sicuro, anche alla luce dei risultati elettorali recenti nel nostro Paese e in altre nazioni europee, c’è materia per riflettere. E, magari, ravvedersi.
Fausto Durante è responsabile Area politiche europee e internazionali Cgil