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L'industria italiana è ancora nel vortice della crisi. La ripresa dopo la pausa estiva non si profila diversamente da quanto si registra ormai da se anni a questa parte. Il suo andamento è il segno più evidente della fase di recessione estagnazione che attraversa un’economia, la nostra, segnata da disoccupazione crescente e caduta verticale dei consumi. I volumi produttivi si sono ridotti di un quarto e intere aree territoriali vivono una fase di deindustrializzazione. Ma ciò che più preoccupa è il fatto che in questo vortice ritroviamo segmenti importanti e in molti casi strategici della manifattura italiana.
Sono tanti i tavoli aperti e in attesa di soluzione. Ci sono i casi delle acciaierie di Piombino e Alcoa di Portovesme (oggetto di approfondimento sul numero 31 di Rassegna Sindacale, 4-10 settembre, ndr). Ma l’elenco è lungo. Stando alla siderurgia – e ricordando ovviamente la questione dell’Ilva di Taranto – tra i tavoli di crisi più spinosi da affrontare c’è l’Ast, acciai speciali di Terni, azienda tra le più avanzate nel suo campo, prima ceduta e poi tornata a far parte del gruppo ThyssenKrupp, oggi sottoposta a un piano di ridimensionamento che comporterebbe una drastica riduzione degli organici. Una scelta – come altrove – che non è dettata dall’andamento dei mercati ma dall’esigenza di ridurre le perdite finanziarie determinatesi in conseguenza di una grave fase di incertezza e di stallo gestionale che il sito ternano ha subìto nel corso di questi ultimi anni per responsabilità del gruppo e delle sue decisioni in merito alla propria collocazione a livello europeo. Vedremo ora quale sarà l’esito dell’appuntamento fissato al Mise il 4 settembre.
Continuando poi nell’elenco, e solo per citare altri casi, ricordiamo l’ex Fiat di Termini Imerese, con l’intero territorio in attesa di una reindustrializzazione capace di salvare oltre mille posti di lavoro. E poi l’Irisbus, sempre ex Fiat – Fiat Iveco –, di fatto unico grande stabilimento di bus in Italia, oggi ancora chiuso, e che potrebbe rappresentare una opportunità per il rilancio del trasporto pubblico su gomma, settore in grave difficoltà anche per le carenze nel sostegno da parte dello Stato. E ancora, l’Ansaldo Breda, su cui pende la cessione decisa da Finmeccanica, con le conseguenze che questa potrebbe avere nel settore ferroviario e le ricadute negative sull’occupazione.
Sono, quelli citati, solo una piccola parte degli oltre 150 tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico, cui si devono aggiungere le decine e decine di casi che coinvolgono aziende di tutti i settori che il sindacato affronta giorno per giorno in un crescendo di preoccupazione per le sorti di migliaia di posti di lavoro.
L’Italia della produzione, dell’industria, della manifattura, ha bisogno di una scossa, di interventi forti e straordinari. Ha bisogno di investimenti e innovazione quale unica via per stare al passo con le economie più avanzate. Ha bisogno di politiche pubbliche e quindi di risorse dedicate che possano accompagnare un impegno dello stesso capitalismo italiano che non può assistere passivamente a un processo così profondo di impoverimento della sua base produttiva.
Se ciò avverrà, se questa volontà di rilancio si manifesterà concretamente, non mancherà l’impegno del sindacato, Cgil in testa – come è sempre stato –, per dare agli investimenti una prospettiva di consolidamento, di crescita della produttività, di sviluppo e qualificazione dei prodotti. Questa è la vera sfida. Al centro dovrà esserci l’occupazione, per chi oggi il lavoro c’è l’ha ma rischia di perderlo, e per quanti nuove opportunità di lavoro, a partire dai giovani, le aspettano da tempo.
* responsabile Area contrattazione Cgil