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Centodieci anni fa, il 1° ottobre 1906, a Milano, al termine di un congresso intenso e acceso, segnato dallo scontro frontale con le correnti rivoluzionarie (anarchiche, repubblicane e socialiste), i sindacalisti riformisti costituivano la Confederazione Generale del Lavoro, il cui obiettivo principale – come recitava il primo articolo dello Statuto – era quello di “ottenere e disciplinare la lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico della produzione e del lavoro”.
In oltre un secolo di storia, l’Italia ha attraversato stagioni molto diverse, sia sul piano economico che politico. Nella prima metà del Novecento il Paese, prevalentemente agricolo, visse dapprima la parabola delle istituzioni liberali, dall’età giolittiana alla crisi del primo dopoguerra; quindi, la drammatica esperienza della dittatura fascista, conclusa con la guerra di liberazione.
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110 anni di storia nei materiali dell’Archivio Cgil
Nella seconda metà del secolo, l’impianto della democrazia repubblicana e il poderoso sviluppo economico fecero dell’Italia uno dei Paesi industriali più importanti del mondo occidentale, ma caratterizzato da profondi squilibri sociali, con una combattiva classe operaia e una vivace dialettica politica.
A partire dagli anni settanta, da un lato la grave crisi economica e, dall’altro, la forte instabilità politica, aggravata dall’offensiva del terrorismo, indebolirono a tal punto il sistema dei partiti da provocare in breve tempo, complice la fine della Guerra fredda, il crollo della “Prima Repubblica” e l’apertura di una nuova epoca.
Anche i 110 anni della Cgil, condizionati inevitabilmente dalle dinamiche economiche e politiche, sono stati ugualmente movimentati, densi di conquiste storiche e gravi sconfitte. Durante l’età liberale, la confederazione fu guidata da una dirigenza di stampo socialdemocratico, impegnata a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, soprattutto attraverso lo sviluppo della contrattazione collettiva e della legislazione sociale, in un rapporto collaborativo con le controparti imprenditoriali e istituzionali.
Negli anni venti, di fronte al fascismo, si determinò la divisione tra due realtà, una di orientamento socialista, riparata all’estero, l’altra comunista, impegnata nella clandestinità, le quali tornarono a dialogare solo alla metà degli anni trenta e soprattutto durante la Resistenza. Con la breve, ma fondamentale parentesi unitaria (tra comunisti, socialisti e democristiani) del 1944-48, il sindacato giocò un ruolo decisivo nella ricostruzione economica e nella stesura della Costituzione.
In seguito, la Cgil – guidata da una maggioranza comunista, con la preziosa collaborazione dei socialisti – passò rapidamente dalla guerra fredda degli anni cinquanta alla ripresa operaia degli anni sessanta, culminata nell’Autunno caldo, nella stagione della “supplenza sindacale” e nell’esperienza unitaria della Federazione Cgil-Cisl-Uil. La crisi del fordismo e le incertezze della politica contribuirono a indebolire un mondo confederale che, negli anni ottanta, vide un sensibile arretramento in termini di autonomia, democrazia e unità sindacale.
Fu proprio a quel punto, tra il 1989 e il 1991, in un periodo estremamente complesso e delicato, compreso tra la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, alla vigilia di Tangentopoli e del trattato di Maastricht, che la Cgil seppe uscire dall’impasse, attraverso un processo impegnativo di autoriforma organizzativa e progettuale, ben racchiuso nella formula del “sindacato dei diritti”; una scelta lungimirante, come avrebbero dimostrato le vicende successive, dalla mobilitazione contro l’abolizione dell’articolo 18 alle più recenti campagne contro il Jobs Act e per l’affermazione della Carta dei diritti universali del lavoro, che sarà (non a caso) al centro delle celebrazioni del 110° anniversario della nascita della Cgil.
È d’altronde proprio questo il filo rosso che tiene insieme 110 anni di una storia così diversa e complicata: l’impegno incessante – tra alti e bassi, vittorie e sconfitte, pagine esaltanti e cedimenti improvvisi – per la difesa e la promozione dei diritti dei lavoratori, a partire da quel diritto al lavoro, sancito dall’articolo 4 della Carta Costituzionale, che resta, sempre e comunque, il primo dei diritti sociali di cittadinanza, l’unico pilastro in grado di garantire a ciascuno la libertà di autodeterminare la propria vita.
La verità è che le scelte compiute 110 anni fa dai pionieri del movimento sindacale risultano ancora incredibilmente attuali e capaci di proiettarsi nel futuro. Innanzitutto, la scelta della confederalità: l’idea, cioè, che solo una confederazione può contribuire a sconfiggere i due pericoli che si celano sempre nell’azione sindacale, il corporativismo (dei più “forti”) e il localismo (contro i “diversi”).
Quindi, la scelta di una confederazione generale: una confederazione di persone tutte uguali, dotate degli stessi diritti e di interessi simili, senza distinzione tra uomini e donne, giovani e anziani, italiani e stranieri, occupati e disoccupati, lavoratori pubblici e privati, garantiti e precari. Insomma, la lezione magistrale di Giuseppe Di Vittorio, il più importante tra i leader della Cgil; l’insegnamento derivante dalle sue lotte senza quartiere contro i soprusi degli agrari pugliesi, dalla sua militanza antifascista, dal suo contributo rilevante alla stesura della Costituzione, dal suo Piano del lavoro, recentemente ripreso e sviluppato dall’attuale gruppo dirigente confederale. Esempi e messaggi che restano la stella polare della Cgil. Ieri come oggi. Oggi come domani.
Fabrizio Loreto è ricercatore di Storia contemporanea all’Università di Torino