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L’efficacia o meno del “decreto dignità”, i danni certi del Jobs Act, l’articolo 18 e le prospettive per il futuro del lavoro in questo Paese. Di tutto questo si è parlato oggi, 15 settembre, alle Giornate del lavoro della Cgil in corso a Lecce, durante l’incontro “Democrazia è più diritti”, moderato dalla giornalista Laura Berlinguer.
“Il decreto varato dal governo Conte è stato poco coraggioso, e non porta certo dignità al lavoro. Soprattutto nella sua seconda stesura”: è questa l’opinione della Cgil, espressa con chiarezza dalla segretaria confederale Tania Scacchetti nel corso della discussione. L’assunto da cui il ministro Di Maio e la sua squadra sono partiti, in effetti, era “condivisibile sulla parte relativa alla regolamentazione del mercato del lavoro”, ma gli interventi concreti sono stati “molto meno incisivi”. Per la Cgil, l’idea di dare centralità ai contratti a tempo determinato è “una misura importante di politica economica, che potrebbe mettere finalmente un freno alla competizione senza regole che c’è sul mercato del lavoro”. Invece, ha continuato Scacchetti, “l’esito del provvedimento non corrisponde in pieno a quell’obiettivo”, soprattutto per quanto riguarda i licenziamenti, dato che non tocca il problema dell’abolizione dell’articolo 18”.
Il fatto che lo smantellamento del Jobs Act non ci sia stato con il provvedimento varato dall’esecutivo è stato ammesso anche da Pasquale Tridico, docente di Economia all’Università degli studi Roma Tre, consulente del ministero del Lavoro, che ha anche partecipato alla stesura del "decreto dignità". “Quando si è fatto il Jobs Act era chiara la divisione del Paese: i lavoratori erano contro, le imprese a favore – ha spiegato - . Questa volta, invece, avevamo tutti contro, tranne alcune parti del sindacato. Per questo l’articolo 18 è stato un tema che non si è potuto portare avanti”. L’obiettivo dell’esecutivo era esclusivamente “mettere un punto ai contrati a termine”. Per Tridico, “il principio che si è affermato è che i lavoratori devono avere il diritto di sapere perché lavorano a termine". Quindi, il "decreto dignità" non aumenta l’occupazione, "mentre il Jobs Act ne ha determinato un aumento falso, perché le ore lavorare restano basse”.
Anche Confcommercio è stata molto critica con il provvedimento del governo. Soprattutto per quanto riguarda il metodo , ha rivelato il direttore generale Francesco Rivolta. “Non siamo stati chiamati a discuterne -ha detto -. E siamo molto preoccupati, perché quando la politica mette mano alle norme sul lavoro senza sentire le parti di solito combina guai”. Questo vale anche per il Jobs act. “Sulla dignità del lavoro avremmo invece molto da dire – ha concluso – in un Paese con milioni di lavoratori in nero e 870 contratti la cui maggioranza è in dumping rispetto ai contratti sottoscritti con le maggiori organizzazioni”. Per Confcommercio, quindi, bisogna “mettere al centro della discussione nuove politiche del lavoro e dell’impresa”.
“L’idea che è passata in questi anni – ha concluso Tania Scacchetti – è che basti lavorare senza pensare alla qualità del lavoro, tutto ciò ha impoverito le prospettive delle persone. A partire dall’inizio della crisi, abbiamo perso moltissimi posti a tempo pieno e li abbiamo sostituiti con lavori poveri e precari. Per questo serve tornare a puntare sulla contrattazione collettiva, che non è certo un vecchio orpello”.