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Il calcio non è uno sport per femmine. E non perché non piaccia, anzi. Ma perché le norme e le regole che lo governano sono così fortemente discriminatorie da non lasciare mezzi e risorse, che pure nel settore non mancano, per l'area femminile.
Dopo la presa di posizione a favore dello sciopero delle giocatrici della serie A lo scorso ottobre, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha voluto sentire direttamente dalle giocatrici le ragioni della loro protesta. Giovani, in qualche caso giovanissme, agguerrite e sorridenti le ragazze della Nazionale che insieme alla responsabile dell'Associazione italiana Calcio femminile, Katia Serra, hanno raccontato il loro sport fatto di assenza di diritti, riconoscimenti e risorse. Quasi la narrazione di uno sport minore – il tamburello da spiaggia – , e invece è lo stesso calcio miliardario che non manca mai nei notiziari e nell'informazione .
“Le nostre squadre sono senza risorse e la Lega non ci tutela, così non ci vengono riconosciuti diritti elementari. Senza contare che molte di noi studiano e tra le assenze per gli allenamenti o quelle per le partite rischiamo di perdere anni scolastici o percorsi formativi. E i guadagni che oltre a essere davvero bassi spesso saltano nei frequenti passaggi di proprietà delle squadre”, hanno spiegato.
Ma, soprattutto, hanno raccontato di un settore dove non si investe, dove non ci sono norme specifiche per i settori femminili e dove quindi quelli maschili finiscono per accentrare risorse e attenzione. E dove a spingere le giocatrici a non mollare alla fine è solo la passione. Una condizione che, tranne Grecia e Malta, non trova pari in Europa.
“Eppure svolto a livello agonistico è una lavoro vero e proprio, quindi come tutti i lavori devono esserci diritti e tutele riconosciute, malattia, contributi, maternità”, ha osservato Camusso. Le due immagini a confronto stridono forte, troppo per il 2016: da un lato la vita scintillante delle star del calcio ma anche dei giocatori delle serie B e C maschili, dall'altra quella quasi da fine ottocento del calcio femminile. “Un livello di pregiudizio e discriminazione inaccettabile, tanto più se si considera che il calcio è lo sport più amato e diffuso tra gli italiani, che tutti ne parlano e quindi fa cultura".
In campo per i diritti delle calciatrici e delle donne italiane, scende così una giocatrice d'eccezione, Susanna Camusso, leader della più grande organizzazione sindacale italiana, che spiega come in Cgil oggi le donne abbiano battuto le discriminazioni, raggiunto un buon livello di parità e sono spesso al vertice di strutture e categorie "Prima della conciliazione, delle quote e delle regole interne, c'è la solidarietà. In Cgil le donne hanno vinto le loro battaglie unendosi e dandosi forza. Solo così si possono davvero cambiare le cose".