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L’11 giugno del 2016 Paolo Leon ci ha lasciato. Come possiamo ricordarlo dopo un anno? Leon nasce a Venezia un anno prima della pubblicazione della Teoria Generale di J. M. Keynes. Trent’anni dopo Paolo scrive un libro che riprende alcune tesi fondamentali dello stesso Keynes per descrivere lo sviluppo capitalistico – Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica (Isec, 1965). È un libro che si propone di andare oltre il mainstream keynesiano allora dominante, in quanto non si accontenta dell’analisi un po’ ingegneristica della riflessione keynesiana di allora, che vedeva nella politica economica pubblica lo strumento istituzionale necessario volto a ridurre la forbice tra domanda e offerta aggregata, attraverso l’incremento della spesa pubblica.
A tal proposito ci aveva suggerito un interessante contributo di W.F Gossling pubblicato nel 1974. Leggendolo si apprende che l’evoluzione del sistema capitalistico non può essere ridotta a flussi di input e output, né può essere descritta ricorrendo alle tavole di input-output. Queste sono indiscutibilmente utili e possono essere usate per la programmazione economica, nella consapevolezza che si tratta di strumenti insufficienti per conoscere cosa si nasconde dietro la domanda potenziale.
La domanda effettiva per Leon non può essere considerata come un dato o una costante. Essa cambia quali-quantitativamente nel tempo. Il cambiamento della sua composizione modifica in profondità proprio la matrice input-output. Se al variare del reddito cambia la composizione dei consumi e non semplicemente la quantità degli stessi, la domanda effettiva può mutare in modo diverso rispetto alle aspettative degli imprenditori che organizzano i loro investimenti. “L’esperienza storica dimostra che nella realtà economica si dà sempre una dinamica delle preferenze sociali… Anzi, tale concetto è in diretta relazione con la variazione della composizione del consumo: esso ha la stessa natura della nozione che è alla base dell’aumento del livello di sussistenza (psicologica) del reddito. Se la coscienza generale identificasse in tale variazione un aumento del prodotto e del reddito, ciò sarebbe sufficiente per confrontare (in termini logici) tecniche diverse tra loro in relazione al prodotto che esse forniscono, e per poter valutare la dimensione di un sistema in diversi momenti nel tempo” (Isec, p. 51).
L’incertezza macroeconomica rimane l’alfa e l’omega dell’indagine economica. In tal senso, l’economia è una scienza sociale, e guida i comportamenti (gli animal spirits) degli imprenditori – probabilmente non solo degli imprenditori –. Leon però non si fermava qui: l’incertezza come categoria interpretativa dei fenomeni economici andava ulteriormente indagata. Cerca di farlo nel 1981 con L’Economia della domanda effettiva (Ede): “Se la domanda effettiva determina l’offerta, cosa determina l’investimento o l’aumento della capacità produttiva? Ovvero, è possibile costruire un’economia nella quale la domanda effettiva determina l’offerta anche nel lungo periodo? Se non si chiarisce questo punto, resta sempre aperta la porta a teorie che rendono l’aumento della capacità produttiva funzione dell’azione autonoma delle imprese” (Ede, p. 11).
Leon riconosceva alla legge di Engel una centralità particolare per lo studio dello sviluppo capitalistico. In questo il suo lavoro di ricerca ha dei chiari punti di tangenza con le ricerche di Luigi Pasinetti, sebbene in Leon emerga una maggiore sensibilità alle conseguenze sul piano della politica economica e della dinamica sociale, che ha ribadito anche nel suo libro forse più bello: Il capitalismo e lo Stato (Cs, 2014). Nel capitalismo la domanda effettiva non è mai uguale a se stessa, cambia ed evolve con l’aumento del reddito, e con l’evoluzione della società: “Un’economia è dinamica quando varia la composizione della domanda di consumo, e questa variazione è diversa per i diversi individui in relazione al rispettivo reddito pro capite: la legge comincia a funzionare dai redditi più alti, al crescere del reddito, per poi trasmettersi ai redditi inferiori… se il più ricco all’apice della piramide della ricchezza è il proprietario del capitale, non è il consumo ciò che ne caratterizza il comportamento, ma l’accumulazione”.
A giudizio di Leon, “l’investimento ha senso se i consumi crescono, ma i consumi non crescono se non cresce il reddito, e al crescere del reddito non si possono consumare sempre in maggiori quantità gli stessi beni e servizi, senza influenzare negativamente la propensione al consumo e, per questa via, il reddito e, alla fine, l’investimento. Questa catena di eventi non è nota né prevedibile per i capitalisti, e il motivo del profitto si spegnerebbe se la catena si interrompesse. Lo Stato sembra l’unica forza per evitarlo e rimediarne gli effetti: le crisi sono anche questo” (Cs, pp. 74-75).
Ciò che alimenta la domanda potenziale è la certezza che si possono consumare beni diversi e, quindi, produrre beni diversi. Non conosciamo un imprenditore che costruisce le sue fortune sulla produzione di un bene sempre uguale a stesso. Qualora un bene avesse queste caratteristiche, l’imprenditore farebbe di tutto per rappresentarlo come originale e unico. La capacità di condizionamento dei consumi conta e ciò plasma il funzionamento dei mercati.
Le riflessioni di Leon sulla differenziazione dei prodotti possono essere sviluppate utilizzando le ricerche condotte da Paolo Sylos Labini. In tal modo, lo sviluppo economico appare in una luce nuova. Nelle parole di Sylos “è da riguardare, non semplicemente come un aumento sistematico del prodotto nazionale concepito come aggregato a composizione data, ma, necessariamente, come un processo di mutamento strutturale”, (così come) “è necessario cogliere la logica profonda dei movimenti dei redditi… l’investimento nella tecnologia necessario senza il quale non sarebbe possibile concepire il ciclo economico”. Qui si apre lo spazio per ripensare le politiche pubbliche e – Leon lo ricordava spesso – anche il ruolo del sindacato.
Cosa rimane oggi della ricerca economica (e sociale) relativamente alla domanda effettiva? Il diverso contenuto qualitativo della domanda al variare del reddito rappresenta un tema eluso da troppi economisti keynesiani. Ciò, purtroppo, ha compromesso la nascita di analisi teoriche ulteriori, necessarie non solo per indagare le macro-fondazioni della microeconomia, ma anche per evitare che i pubblici poteri cadessero nell’ignoranza. Da questo punto di vista, Leon è rispettoso della tradizione keynesiana, ma è eterodosso nel modo di utilizzare quella stessa letteratura. La Storia economica di Leon è Storia con la S maiuscola. I poteri ignoranti (Pi) del 2016 è il suo ultimo libro. Uno scritto dato alle stampe in fretta, in cui sono raccolte considerazioni urgenti e amare, ma preziosissime se prese sul serio: perché in troppi guardano ai cicli economici, mentre l’evoluzione del capitalismo è un processo storico.
Nel tempo tutta la classe dirigente ha perso contatto con questa dimensione “normativa” dell’economia, e ciò rende più complicata l’uscita dalla crisi di paradigma (reaganiano) iniziata nel 2007: “Rifiuto l’idea di aver assistito a una fluttuazione ciclica, conclusa la quale si torna in equilibrio… finita l’epoca della moneta facile, si dice negli Usa che si torna alla normalità: il ritorno è invece impossibile, a meno che non si riaprano le dighe dell’intervento pubblico diretto, e delle politiche a favore del sindacato” (Pi, p. 9). “Una volta esautorato il potere pubblico, anche quando la moneta esogena sostituisce quella endogena, non ne segue altra autocoscienza pubblica che il mercantilismo, e governi mercantilisti sono altrettanto ciechi all’economia nel suo complesso degli imprenditori-capitalisti che proteggono. C’è allora da chiedersi se gli Stati mercantilisti, ridotta la sovranità nazionale, non cercheranno di ricostruirla attraverso il conflitto aperto con gli altri Stati” (PI, pp. 67-68).
Chi scrive ha lavorato con Paolo Leon e preso l’impegno di continuare la ricerca che aveva realizzato sulle dinamiche dello sviluppo capitalistico, una ricerca che ha le sue radici nel periodo in cui Paolo era a Cambridge. Trovarsi nel posto giusto nel momento esatto in cui si verifica un fatto non è banale per la fortuna di molti economisti. Probabilmente la crescita economica dei paesi capitalistici del dopoguerra ha condizionato la ricerca economica keynesiana. Il problema “normativo” degli economisti di allora era, sostanzialmente, il governo dei cicli economici attraverso l’intervento pubblico. Non sottovalutiamo questa impostazione, se oggi fosse raccolta la crisi legata al leverage sarebbe in parte attutita, ma il tema del governo del ciclo economico ha fatto perdere di vista l’analisi dell’evoluzione qualitativa della domanda. Ciò comporta una completa ignoranza circa il governo del cambiamento strutturale, che investe i sistemi economici rendendo estremamente difficile il perseguimento della piena occupazione.
Abbiamo ancora bisogno di una teoria che spieghi il contenuto dell’occupazione, ma ciò può essere fatto solo se ci si concentra sul cambiamento qualitativo della domanda effettiva. Ciò dovrebbe essere fatto soprattutto per contribuire a superare la grave crisi istituzionale europea: governare la dinamica economica strutturale significa anche ripensare la specializzazione produttiva interna ai diversi sistemi economici che compongono l’Europa, per evitare il pericolo degli Stati mercantilisti sui cui insisteva l’ultimo Leon.
Su questo Paolo ha dialogato a lungo anche con noi, al punto da scrivere una prefazione alla prima bozza di un libro che contiamo di dare presto alle stampe. È stato un compagno di viaggio che ha manifestato una pazienza quasi commovente, viste le nostre debolezze, insistenze e titubanze. Paolo era una persona sorridente, incoraggiante, gentile e sin troppo umile. Ci piacerebbe che il suo contributo teorico fosse conosciuto in tutto il suo valore.
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La preziosa lezione di Paolo Leon
Nazionalizzare nell'interesse del Paese