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“Chi opera nel mondo del professionismo, quello di di alto livello, non ha bisogno di tutele perché ne ha: ci sono gli accordi collettivi e, all'interno degli accordi, clausole stipulate d’intesa con le società. Se poi qualcosa non va per il verso giusto, esistono i collegi arbitrali interni alla federazione e, in ultima istanza, il giudice del lavoro”. Così Renzo Ulivieri, allenatore di lungo corso in serie A e ora, a coronamento di un costante impegno civile e politico mai disgiunto da quello strettamente sportivo, presidente dell’Associazione nazionale allenatori. “Discorso diverso per il settore dilettantistico e per il professionismo di livello inferiore, nel calcio, ad esempio, la serie C – aggiunge –. In questo caso c’è molto poco e tutto l’aspetto assicurativo e pensionistico è interamente da normare. È necessario, anzi urgente, metterci le mani.
Per tanti anni tu sei stato nella parte privilegiata dello sport, cosa occorre fare per chi è meno fortunato?
Io credo che il concetto generale da cui partire sia semplice: chi gioca per divertimento è un dilettante, chi invece fa il trainer, l’allenatore e lo sportivo per mestiere, è un lavoratore e va trattato come tale. Se lavora un’ora, questa ora deve essergli pienamente riconosciuta, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello previdenziale e assistenziale.
Cosa fate come associazione allenatori per intervenire in queste situazioni?
Una premessa. Oggi è tutto il mondo del lavoro che è sotto botta. Sono state fatte leggi che hanno contribuito a far scadere pesantemente il livello delle garanzie, facendo passare queste operazioni di abbassamento dei diritti come positive e a favore dell’intera società. Nel nostro campo, nel passato abbiamo pensato anche di intentare una causa pilota contro una società dilettantistica, fare cioè intervenire un giudice del lavoro. È una strada che però alla fine non abbiamo ancora battuto. Io credo che occorra mettersi intorno a un tavolo, anche con il contributo del sindacato, per cambiare una situazione che non può più andare avanti in questo modo.
Ma esiste un po’ di consapevolezza tra questi lavoratori della situazione in cui si trovano ora e che, soprattutto, avranno in futuro?
Secondo me ce ne era di più prima. Oggi si tende a vivere nel presente, nell’immediato. Per questo occorre lavorare per accrescere la consapevolezza di queste persone. Un calciatore normale arriva a 35 anni senza essere riuscito a mettere da parte soldi oppure non abbastanza per tutta la vita. E cosa fa? Io credo che queste persone vadano preparate a entrare nel mondo del lavoro, nell’ambito dello sport ma non solo. Noi, come associazione allenatori insieme all’associazione calciatori, stiamo iniziando a muoverci anche in questa direzione.