PHOTO
Tratto dal numero 2/2018 di Specchio Internazionale. Articolo originale pubblicato sul “Social Europe Journal”
Strano a dirsi, ma tra la crisi internazionale del debito degli anni ottanta e la Grande Recessione del 2008, l'Europa ha mostrato un tasso di crescita del Pil complessivo superiore al resto del mondo. In quel periodo, sono avvenuti due grandi eventi politici: la riunificazione della Germania nel 1990 e la nascita di un'unica struttura dei tassi di interesse per 11 paesi dell'Unione europea – che è il modo giusto per guardare alla nascita dell'euro. Entrambi gli eventi hanno avuto un impatto di lunga durata sui debiti governativi.
Il primo è stato seguito dalla cancellazione di quasi tutto il debito tedesco per i risarcimenti di guerra, la cui totale restituzione avrebbe implicato – come ha avuto modo di dire una volta il cancelliere Kohl – il terzo fallimento della Germania in un secolo. La cancellazione ha certamente aiutato Kohl a gestire i costi della riunificazione (2 mila miliardi di euro in media, secondo stime diverse).
Il secondo evento ha portato all'allineamento dei livelli dei tassi di interesse della futura eurozona a quello tedesco, con conseguenze di lungo termine, specie per le economie della periferia, che erano più armonizzate a un più alto livello dei tassi di interesse. Questo fenomeno è cominciato ben prima dell'entrata ufficiale dell'euro il 1° gennaio 1999 ed è derivato dallo spostamento delle aspettative del mercato che hanno preso la forma di convergence trade, un tipo di manovra di arbitraggio che tuttavia non coinvolge prodotti finanziari identici, ma bonds che si ritiene siano simili.
Nel periodo 1996-1999 il mercato europeo dei bond ha scommesso sul fatto che, poiché i Paesi periferici sarebbero sicuramente entrati a far parte dell'eurozona, accanto alla Germania, i bonds si sarebbero potuti considerare come paragonabili e pertanto erano prezzati in modo "quasi" identico, mentre i convergence trades erano sostenuti da concrete misure politiche e finanziarie.
E in effetti, tra il 1993 e il 1997, diverse direttive Ue hanno imposto un trattamento normativo uguale per i futuri govies dell'eurozona (government/sovereign bonds). Non solo. La neonata Bce non discriminava tre i bonds dell'eurozona presentati dalle banche come collaterali per le operazioni di prestito. Apparentemente, l'eurozona ha cominciato a operare come se il rischio fosse condiviso e i mercati credevano in questa garanzia implicita della Bce e delle istituzioni europee.
Al tempo, questo sembrava una caratteristica ancillare dell'architettura dell'eurozona; ma ciò che è accaduto dalla crisi del debito del 2011 ha dimostrato chiaramente che l'Unione monetaria non può funzionare sulla base di differenti strutture dei tassi di interesse senza enormi conseguenze per la competitività e la stabilità finanziaria dei Paesi periferici.
Per più di mezzo secolo, principi come la solidarietà e il risk sharing sono stati il propellente della crescita economica e sociale dell'Ue. Dal 2009, in meno di 10 anni, abbiamo avuto invece un'improvvisa inversione di questo processo virtuoso, che ha scatenato una nuova ondata di populismo e di nazionalismo. La solidarietà, in tutto tranne che nel nome, è evaporata: prima del 2008, il governo greco non si sarebbe mai presentato alla Germania con la provocatoria richiesta di 280 miliardi di vecchi prestiti che la Grecia è stata costretta a pagare durante l'occupazione nazista. Certo, non aveva basi legali, ma proveniva da un governo messo alle corde e allarmato dalla devastante austerità imposta dalla troika.
Il contributo dell'Italia alla cancellazione del debito tedesco
Le cancellazioni del debito non sono insolite nella storia dell'Europa. Con il Trattato di Parigi del 1947, dopo la seconda guerra mondiale, l'Italia è stata obbligata a rinunciare alle sue rivendicazioni nei confronti della Germania per la somma significativa di 700 miliardi di lire, circa 65 miliardi di euro al valore del 2018. La comunità internazionale non intese accedere alle richieste dell'allora primo ministro Alcide De Gasperi, che affermava che i danni inflitti all'Italia dall'esercito tedesco erano avvenuti durante il periodo in cui l'Italia combattè dalla stessa parte degli alleati (1943-1945).
Pochi anni dopo, nel 1953, il Trattato di Londra dimezzò il debito tedesco, in essere fin dalla fine della seconda guerra mondiale, e rinviò di 30 anni la parte restante (in seguito cancellata del tutto). Il danno di guerra, circa 1.5 trilioni di dollari al valore del 1990, fu congelato fino a quando la riunificazione non ebbe luogo.
Ulteriori concessioni sono state negoziate lungo la strada. Il debito differito (circa 300 miliardi di euro al valore 2018) veniva restituito in rate annuali che venivano effettivamente pagate solo nel caso favorevole di surplus commerciale della Germania. Era un meccanismo ragionevole che condizionava la restituzione solo in presenza di risorse reali disponibili al trasferimento. Inoltre, è stato utile evitare l'uso sbagliato dei prestiti stranieri e delle riserve monetarie solo per onorare il debito di guerra, uno schema perverso con cui veniva emesso nuovo debito (o si stampava moneta) per pagare il debito estero.
In passato, questo tipo di errori aveva messo la Germania di Weimar in una spirale iper-inflattiva. Nel 1958, il primo anno delle restituzioni, gli esborsi del governo ammontavano a un relativamente basso 2,7% delle esportazioni totali e sarebbero ulteriormente declinati negli anni successivi. In tale prospettiva, sembra strano che in base all'attuale normativa del Fmi e della Wb, i Paesi debitori siano costretti ad aggiustare i loro bilanci a un ritmo dieci volte più alto in termini di esportazioni totali.
Il valore della solidarietà
Dopo la crisi del 2008, abbiamo visto un ardito cambiamento da parte delle istituzioni Ue e dell'eurocrazia verso una marginalizzazione del principio del risk sharing; la crescita degli spreads e una barcollante crescita asimmetrica, a spese dei Paesi periferici, sono state l'unica eredità di quello che può essere realmente considerato un decennio perduto per l'integrazione europea.
Certo, sarebbe politicamente irrealistico non considerare la turbolenza finanziaria indotta da qualunque remissione del debito all'interno dell'eurozona nella sua forma attuale. Ma, nello stesso tempo, qualunque idea di ristrutturazione del debito, del tipo di quella intravista nella proposta tedesca delle riforma dell'eurozona (e in forma indebolita anche nella controproposta franco-tedesca) dovrebbe essere accantonata, come una forma di stravaganza ideologica.
Ho suggerito qui un terzo percorso che darebbe priorità agli investimenti e alla crescita, in base a una progressiva riformulazione dell'architettura dell'eurozona in direzione di una più completa condivisione del rischio. Come europei, abbiamo bisogno di superare ogni visione partigiana, guardando alla nostra storia comune: l'Unione europea ha prosperato economicamente e socialmente fino a quando è rimasta ancorata a principi di solidarietà. Speriamo che, in un tempo utile, emergerà gradualmente una nuova classe politica con obiettivi di lungo termine, per riabbracciare e rimettere in atto questi principi.
Marcello Minenna è docente di Finanza matematica alla Bocconi di Milano