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TORINO - “Nel turismo la vera grande sfida è considerare il lavoro come elemento principale di qualità, e mai come un costo da comprimere. Le varie pretese datoriali di incrementare la produttività dovrebbero sempre tenerlo a mente: è molto più produttivo un cliente soddisfatto che non una prestazione pagata di meno”. Non sono parole di un sindacalista. A dirlo è Stefano Landi, esperto del settore e presidente di un’azienda che da oltre 25 anni si occupa di ospitalità e turismo. Questo il suo contributo alla due giorni organizzata dalla Filcams Cgil a Torino per fare il punto sulla contrattazione con l’obiettivo di allargare i diritti a quanti più lavoratori.
“L’Italia – osserva l’esperto – non deve vendere prodotti turistici a basso costo; deve puntare sulla sua forte identità, inimitabile in altre parti del mondo, e allo stesso tempo sulla storica bravura nelle relazioni con i clienti”. Quello del turismo è stato un anno certamente molto positivo, complice la congiuntura internazionale, ed è in controtendenza rispetto alla crisi infinita degli altri settori. “Gli imprenditori non si lamentano, però la ricattabilità dei lavoratori è sempre molto alta. Dipende tutto dalla strategia aziendale: se prendi un’impresa e pensi che durerà in eterno, ti comporti in modo diverso con i tuoi collaboratori. L’Italia comunque gode di ottima reputazione e ciò vuol dire che in passato abbiamo lavorato bene. Possiamo continuare a farlo soprattutto se investiamo sul fattore uomo”.
Dal turismo alla grande distribuzione il passo è così ampio che sembra un altro mondo. Lo spiega Luca Pellegrini, presidente di una società di consulenza specializzata nelle relazioni fra imprese e fra imprese e consumatore, oggi relatore al tavolo sulla Gdo. “Il punto di partenza di questa lunghissima crisi – spiega – è stata l’inversione delle aspettative per questo settore. Tutti si attendevano che avrebbe resistito e invece non è andata così, forse a causa della sua organizzazione prettamente industriale. L’elemento più macroscopico è il declino degli ipermercati, ormai sul viale del tramonto”.
È curioso, perché l’iperconvenienza avrebbe fatto pensare al contrario. E invece oggi vincono i low cost nell’alimentare (discount) e negli settori (Zara, Decathlon, Ikea): "L’iper ha perso la sua storica vocazione di bassi prezzi, ma soprattutto ha perduto le famiglie numerose, per cui era nato, che oggi non esistono più”. Insomma, siamo al punto di non ritorno. "Se vogliamo trovare una parola chiave, forse è ‘trasformazione’, cioè il passaggio al modello superstore. Ma c’è il rischio che come sempre siano i giovani a pagare il prezzo più caro. Nel tentativo di ridurre i costi, le imprese pagano di meno i nuovi arrivati, a loro impongono le domeniche lavorative, i contratti part-time spezzettati. Tutte situazioni in cui si cerca la flessibilità che alla fine si scarica tutta su di loro”.
L’altro tema caldo per i servizi riguarda gli appalti. Spiega Pierdanilo Melandro di Itaca, l’Istituto per la trasparenza, l’aggiornamento e la certificazione degli appalti: “Per gli appalti ad alta intensità di manodopera, tipici della Filcams, c’è sicuramente un’attenzione maggiore del legislatore che con il nuovo codice degli appalti per la prima volta ha disciplinato la clausola sociale, anche se solo in termini facoltativi. Il ruolo del sindacato – è il suo suggerimento – deve essere quello di far applicare la clausola sociale a tutte le stazioni appaltanti, e in particole dalle “supercentrali di committenza regionali”, puntando non solo sulla stabilità del dato occupazionale, ma promuovendo standard dignitosi di tutela sociale”. Una battaglia che passa per il territorio: “Si può essere propositivi con le stazioni appaltanti, le quali spesso non conoscono le condizioni dei lavoratori. L’apparente passo indietro in realtà può rappresentare una possibilità di contrattazione per il sindacato”.