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TORINO - Se c’è un settore che se la passa bene nonostante la crisi, sicuramente è il turismo. Il distacco è netto rispetto al grande mondo dei servizi travolto dal crollo della domanda interna. Eppure, nonostante l’aumento degli arrivi in Italia – quest’anno siamo stati una meta privilegiata da tutto il mondo, complici le guerre in corso nel Mediterraneo – per i lavoratori non si registrano passi in avanti. Anzi, molti sono ancora in attesa del nuovo contratto nazionale scaduto da oltre tre anni. Se n’è parlato a “The New Order”, l’assemblea generale della Filcams Cgil, alla ricerca di nuove frontiere per l’inclusione.
Elisa Fontana è proprio di Torino, lavora da trent’anni nel settore del turismo, prima Jolly Hotels ora Nh Hotels, multinazionale divenuta più cinese che europea. “La nostra città ha cambiato vocazione da industriale a culturale grazie alle Olimpiadi – racconta – e il lavoro si è fatto più interessante. Ma per quanto riguarda le nostre condizioni di lavoro, no, il quadro è peggiorato. Prima di essere inglobati in una multinazionale eravamo considerate persone. Oggi ci sentiamo solo numeri e siamo più stressati per carenza di personale e per i pochi mezzi che ci danno. Certo, sulla carta abbiamo un sacco di belle cose, soprattutto per la formazione, ma in pratica non abbiamo tempo per farlo”. Non è solo questione di mole di lavoro. “La direzione non risponde, in generale c’è la sensazione di avere poca importanza. A Torino siamo fortunati per l’evoluzione pazzesca dopo le Olimpiadi, ma nonostante ciò hanno tagliato il contratto aziendale e non abbiamo più incentivi. In busta paga si sente”.
La vertenza di Nh Hotels riguarda in realtà tutta l’Italia. Negli ultimi anni centinaia di lavoratori della catena alberghiera hanno perso il posto. “Volete un esempio? A Roma hanno chiuso il Midas dove c’erano lavoratori con il vecchio contratto, per aprire un altro hotel in piazza dei Cinquecento e assumere persone nuove, quindi pagate di meno. Così risparmiano sul costo del lavoro. Ci sono anche vantaggi a lavorare in una multinazionale, questo sì, molti benefit aziendali, ed è un bel lavoro. Se ci aiutassero un po’ di più, non sarebbe male”.
Matteo Falappi è un giovane delegato di Autogrill. Ha 36 anni, da 16 è impiegato nel locale lombardo. “Il turismo – spiega – è fatto da mille lavori molto diversi, ma i problemi sono simili quando abbiamo di fronte una multinazionale. In Autogrill abbiamo rinnovato l’integrativo, però nei punti vendita l’arroganza rimane. Ad esempio, per ottenere qualcosa ho dovuto scrivere nero su bianco che non sono ascoltato come delegato sindacale, i vecchi direttori non sono abituati a interloquire”.
Il mantra rimane quello della produttività. “Loro – spiega ancora Matteo – non pensano mai alle relazioni personali, al rapporto diretto che noi abbiamo con i clienti e grazie al quale diamo un valore aggiunto al buon nome dell'azienda. C’è una grossa distanza se dal lato aziendale si pensa solo a ridurre i costi. Ricordo anche che abbiamo ben quaranta mesi di vacanza contrattuale, in pratica abbiamo saltato un giro. In più, scioperare in Autogrill non è così facile perché molti lavoratori sono part-time e, se vuoi essere assunto, non scioperi; e non scioperi nemmeno sei sei un part-time involontario e hai bisogno di fare straordinari, altrimenti te li negano”.
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