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La protesta, il rancore e la paura conquistano l’America e spingono Donald Trump alla Casa Bianca, scuotendo il mondo intero. Contro le previsioni della vigilia, infatti, il tycoon newyorkese ha trionfato alle elezioni presidenziali americane e da gennaio sarà il 45esimo presidente degli Stati Uniti.
Eppure non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi mesi ci sono stati molti campanelli d'allarme che hanno suonato a lungo, ma che in pochi hanno voluto ascoltare. Ne è convinto il responsabile delle politiche europee e internazionali della Cgil Fausto Durante interpellato da Rassegna Sindacale. “In realtà – afferma – quando i democratici e i repubblicani stavano scegliendo i loro candidati, i sondaggisti avvertirono che Hillary Clinton avrebbe potuto anche perdere contro Trump, mentre Bern Sanders avrebbe avuto più chance di prevalere. Quindi non era poi un possibilità così remota”.
Certo, ora è il arrivato il momento di analizzare quello che è successo. E cercare di capire come “un candidato così mediocre, violento, xenofobo e con posizioni tanto protezioniste e improntate a un liberismo sfrenato” sia potuto diventare presidente degli Stati Uniti. Secondo Durante è una domanda che “bisogna porsi un po' tutti”, perché si tratta del segnale lampante di un “fenomeno epocale e grave”. “Le elezioni americane si vanno infatti a sommare alla Brexit e alla crisi dei partiti tradizionali in tutto l'Occidente. In altre epoche, personaggi come Trump, Farage in Gran Bretagna e Marine Le Pen in Francia, sarebbero stati marginali e minoritari. Mentre ora sono protagonisti della politica mondiale e mettono in crisi le basi della nostra convivenza civile. Tutto ciò ci dice chiaramente che le risposte alla crisi che sono state finora elaborate dalle forze progressiste in Europa e in America non sono state abbastanza incisive. E che non sono state capite da una larga fetta di popolazione che è in difficoltà, tanto nelle periferie delle grandi metropoli quanto nel profondo delle campagne dimenticate”.
Una delle responsabilità principali della vittoria di Trump, tra l'altro, dovrebbe essere cercata proprio al di qua dell'Atlantico. Nell'irresponsabilità dell'Unione europea e delle sue politiche economiche di austerità. Secondo quanto ha detto a Rassegna il segretario confederale del sindacato di Corso d'Italia Danilo Barbi, infatti, “negli anni della crisi gli Stati Uniti hanno messo in atto una politica di sostegno alla domanda, ma in questo modo hanno aumentato sensibilmente il loro deficit commerciale”. In sostanza, gli Usa importano più di quanto non esportino. “E questo per colpa delle politiche antiespansive dell'Europa, finalizzate soprattutto a sostenere la propria esportazione, in particolare quella tedesca. Posizioni ottuse, che hanno creato uno squilibrio in un sistema globalizzato che evidentemente, così com'è, non funziona più”.
Così le posizioni protezioniste di Trump hanno fatto breccia tra gli elettori americani. “Se non si contribuisce all'espansione dell'economia globale – afferma Barbi –, ma si pensa solo all'austerità con l'obiettivo di esportare di più, si crea inevitabilmente un disordine mondiale dal quale è emersa prepotente l'ombra di Trump”. Questo mette in discussione anche la politica economica di Barack Obama, “che ha sì ridotto la disoccupazione in America, ma non è stata sufficiente, visto che la massa salariale americana è calata dell'8% dall'inizio della crisi. Tutto questo, in un paese in cui la sicurezza sociale è legata esclusivamente al salario. Ad oggi 30 milioni di americani hanno perso la casa di proprietà e guadagnano di meno, dunque hanno inevitabilmente prevalso il rancore e la paura”.
La politica economica prospettata in campagna elettorale dal neoeletto presidente, in ogni caso, “creerà dei seri problemi in un America spaccata a metà tra gli stati più dinamici e quelli che sono stati maggiormente spiazzati dalla crisi”. E avrà conseguenze in tutto il mondo. “Perché – continua l'esponente della Cgil – è una politica che funziona solo se saranno in grado di recuperare velocemente il surplus commerciale, aumentando le esportazioni o riducendo le importazioni”. Un obiettivo preoccupante “se a doverlo fare è la più grande potenza militare al mondo”.
In effetti, sulla politica estera le parole di Trump in campagna elettorale sono state a dir poco inquietanti. Anche se, a giudizio di Fausto Durante, non avranno una ricaduta immediata sulle posizioni degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale: “Pure se gli elettori americani si sono dimostrati molto delusi dall'asfittica politica estera di Obama, con il Medio Oriente che oggi è più in fiamme che mai e con il terrorismo internazionale che è diventato il nostro più grande spauracchio, tra la campagna elettorale e le politiche internazionali c'è comunque un abisso. Per fortuna i toni usati da Trump in questi mesi dovranno necessariamente fare i conti con i complessi equilibri politici del mondo e con l'articolato sistema di pesi e contrappesi istituzionali degli Stati Uniti”.