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Sono passati tre anni dalla tragica alluvione che devastò la costa meridionale della città di Messina, i villaggi di, Giampilieri, Molino e Altolia e i comuni vicini di Scaletta Zanclea e Itala provocando enormi danni e facendo 37 vittime.
Oltre ai temporali a carattere torrenziale, che da qualche anno a fine estate si abbattono sul nostro paese, sul banco degli imputati di quella tragedia ci sono l’abbandono delle colline da parte dell’uomo, la geomorfologia della zona compressa tra la costa e le pendici dei Peloritani ma anche la cementificazione selvaggia e la mancanza di un piano per la messa in sicurezza del territorio. La Cgil di Messina, infausta Cassandra, l’aveva chiesto, ripetutamente.
Negli anni precedenti la tragedia – alla quale ne è seguita un’altra lo scorso anno nella zona tirrenica della provincia di Messina con ben tre vittime-, violenti temporali e piogge intense avevano evidenziato i rischi che si correvano. E la cementificazione incontrollata delle colline di Messina insieme a una serie di segnali chiari, voragini nell’asfalto delle principali arterie cittadine, veri e propri torrenti che si formano in città ad ogni pioggia intensa, l’ospedale Piemonte, quello centrale rispetto alla conformazione cittadina, dichiarato parzialmente inagibile così come la gran parte delle scuole cittadine prive della certificazione di agibilità, avevano fatto il resto.
Il 4 maggio del 2009, il segretario generale della Cgil di Messina, Lillo Oceano chiedeva l’avvio di un Piano straordinario per la verifica e la messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati da finanziare attraverso i Fondi per il Mezzogiorno con il duplice obiettivo di garantire condizioni di sicurezza alle persone e al territorio e avviare un circuito virtuoso anche nel lavoro “Perché dopo – diceva Oceano- i mai più servono a niente”. L’allora sindaco Buzzanca non se ne curò e nonostante i ripetuti inviti del sindacato il Piano restò mera proposta.
Il 25 maggio è la volta dell’ospedale Piemonte e di una richiesta esplicita di messa in sicurezza di quella struttura e degli altri edifici pubblici messinesi a rischio. È il 20 luglio quando sempre la Cgil di Messina, denuncia l’acutizzarsi del sacco edilizio della città e la commistione di interessi, la mancanza di regole certe e trasparenti, logiche personali e immediate che, in assenza di controlli o misure preventive da parte degli uffici preposti, prevalgono sul bene comune. Si chiede l’adozione di un Codice etico per invertire la rotta. Ma chi è a timone della città pensa ad altro.
Il 29 luglio, all’ennesima voragine apertasi in una delle strade principali della città, Oceano torna a incalzare l’amministrazione cittadina e a chiedere di realizzare una mappatura provinciale degli edifici pubblici a rischio con priorità per scuole e ospedali; predisporre un piano di interventi secondo la gravità delle situazioni e procedere alla verifica caso per caso - e non a campione - delle attività legate all’edilizia per il rilascio delle autorizzazioni previste per legge. Passa l’estate, un’estate calda con incendi e poche piogge, e il 23 settembre la Cgil di Messina torna sull’argomento prendendo spunto da una relazione del Genio civile che lancia l’allarme sicurezza e ricorda che “dopo potrebbe essere troppo tardi”.
La notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre a causa di una violentissima alluvione 37 persone in provincia di Messina persero la vita e un’intera area venne devastata. Si poteva evitare?