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La Lombardia è una regione su cui sono puntati gli occhi di tutti. Dal primo maggio prenderà il via l'esposizione universale, un'occasione di rilancio per l'economia di quel territorio e nazionale. La stiamo sfruttando appieno, da quali condizioni partiamo? Nella regione, secondo i dati Istat, i senza lavoro sono poco più dell'8%, un dato invariato rispetto all'anno scorso. L’Istat sottolinea anche, però, che nella provincia di Milano negli ultimi 12 mesi i disoccupati sono cresciuti.
“La ripresa non è così visibile come i tanti annunci dei giornali dicono, i dati sono lì a dimostrarlo”, commenta Elena Lattuada, segretaria generale della Cgil Lombardia con RadioArticolo1 (durante la trasmissione Italia Parla). “E’ evidente – prosegue - che c'è qualche timido segnale in queste ultime settimane su alcuni segmenti, su alcuni settori di una visibilità degli ordini dentro il sistema delle imprese che lascia ben sperare, ma siamo coscienti del fatto che un numero così elevato di persone in cerca di occupazione, di disoccupati o di cassa integrati di lungo periodo è difficile da smaltire anche con questa tendenziale e piccola ripresa, cioè è evidente che non è pensabile di vedere a stretto giro un'inversione di tendenza rispetto ai numeri”.
Lattuada fa l’esempio dei metalmeccanici: in questo settore nel 2014 i licenziamenti sono raddoppiati, anche a causa, spiega, “delle lunghe code derivate dal sistema degli ammortizzatori che va a chiudersi, e di un sistema di imprese che non è riuscito a stare sul mercato e a reinterpretarlo”. Ci sono però settori, come l’indotto auto o l’alta tecnologia, che danno qualche “timido segnale di ripresa”.
È insomma difficile tracciare uno schema generale, ma si riconoscono “segmenti, singole imprese, distretti industriali che hanno dei segnali di ripresa e altri che invece continuano a rimanere in una forte stagnazione. Se a questo – prosegue Lattuada - si aggiunge il fatto che finiscono gli ammortizzatori e i contratti di solidarietà oggi vedono una sorta di battuta di arresto, in ragione delle scelte non tanto regionali ma sicuramente nazionali che sono state fatte sullo strumento, è evidente che tutto questo significa il tradursi in un aumento dei licenziamenti collettivi nel settore”.
Quanto all'Expo, mancano 53 giorni, i padiglioni sono ancora da completare, si arriva a poche settimane dall'inizio avendo accumulato scandali e ritardi. Alla domanda se si può essere fiduciosi riguardo alla possibilità che l'Expo riesca a offrire un'occasione di buon lavoro, la segretaria generale della Cgil Lombardia risponde che “l’Expo, più che costruire un'occasione di buon lavoro, può costruire un'occasione per alcuni lavori. Definire se questi saranno dei lavori buoni, intendendo per buon lavoro una continuità che durerà oltre i sei mesi dell'esposizione, credo davvero sia difficile dirlo, sicuramente in alcuni settori stiamo assistendo a qualche incremento di un po' di occupazione ma stiamo parlando comunque di una misura che non cambia il segno delle percentuali di disoccupazione. Tutta la macchina che sta intorno, diciamo infrastrutturale di accoglienza che può determinare qualche incremento occupazionale, che però non sarà buon lavoro nel senso che non si consoliderà nel tempo”.
“Altro ragionamento – prosegue la dirigente sindacale -, che sta molto nella cronaca cittadina di queste settimane ma che credo dovrà inevitabilmente avere risalto di carattere nazionale, è quello che accadrà alla fine di Expo, cioè a fronte di un investimento rilevante sul piano economico fatto non tanto rispetto alla costruzione dei padiglioni ma di quella che si chiama piastra, cioè di tutti i collegamenti infrastrutturali che determinano se sull'investimento fatto è possibile immaginare un futuro per questa città, per l'area metropolitana e direi per l'intero paese”.
“E la discussione – spiega Lattuada - è da una parte il tema dell'università, se la Statale definirà e avrà la possibilità di trasferirsi nei prossimi anni su quell'area direttamente collegata a uno sviluppo di imprese multinazionali, ma non solo, che potrebbero vedere di buon auspicio un collegamento diretto tra l'attività produttiva e la ricerca che l'università o i centri di ricerca pubblici e privati potrebbero avviare. Questa mi pare la vera scommessa, non solo per Milano ma per l'intero paese. Fare questo significa ovviamente avere risorse, prima di tutto risorse pubbliche perché l'università è pubblica, significa lavorare in stretto raccordo con gli investitori e con tutte le organizzazioni di rappresentanza di questa città e di questa regione, cioè non è pensabile che un progetto di questo genere non veda il coinvolgimento di tanti soggetti immaginando che questo possa diventare un volano importante di un polo di ricerca e di attività produttive di eccellenza”.