Quadro nazionale e regionale. L’economia nazionale e lombarda sono da tempo uscite dalla cosiddetta recessione tecnica, ma i differenziali di crescita rispetto alla media europea suggeriscono molta cautela. Nel frattempo, infatti, è stata distrutta un quarto della base produttiva e alimentato una disoccupazione strutturale che non ha precedenti. Il Pil nazionale sale dello 0,7% nel 2015, con una contrazione di 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni del governo Renzi, mentre le stime del 2016 hanno lo stesso segno, cioè una stima di crescita dell’1,2%, contro un’ipotesi iniziale dell’1,4%.

La Lombardia si posiziona solo un po’ meglio della media nazionale. La crescita nel 2015 è pari all’1%, con una proiezione all’1,4% per il 2016. Gli investimenti dovrebbero crescere del 2,4% nel 2016, ma questi sono significativamente più bassi della media nazionale (3,1%). Sebbene l’economia lombarda sia migliore di quella nazionale, la crescita rimane significativamente più contenuta della media dei Paesi dell’area euro, di 0,3 punti percentuali, se prendiamo per buone le previsioni economiche della Commissione europea. Non è un fatto estemporaneo, piuttosto la continuazione di una lunga serie temporale di minore crescita rispetto a quella realizzata dai paesi europei.

La struttura produttiva lombarda. La produzione industriale e l’andamento dell’occupazione sono ancora molto distanti dai livelli del 2008. La produzione industriale lombarda è lontana di almeno 10 punti percentuali rispetto al periodo 2007-2008, mentre l’occupazione segna un declino di almeno 8 punti percentuali. Solo la produzione a maggiore contenuto tecnologico ha ripreso i livelli iniziali del 2008. Nel mentre, però, tutti i paesi europei hanno rafforzato questa componente. In altri termini, quando la produzione recupera i livelli del 2008, così come l’occupazione di alcuni settori, gli altri paesi europei non solo hanno recuperato i livelli pre-crisi, ma hanno guadagnato posizioni.

Non tutti i settori sono rimasti indietro. Alcuni hanno recuperato le posizioni del 2007 (chimica, alimentari, siderurgia), altri manifestano una depauperizzazione che travalica il segno stesso della crisi: minerali non metalliferi, pelli e calzature, abbigliamento, carta e stampa, tessile, legno mobile, meccanica, mezzi di trasporto e varie. Non solo. Un aspetto di struttura e di controtendenza importante è legato alla posizione giuridica delle imprese della regione. La crisi del 2007 ha modificato la loro forma giuridica. Le imprese manifatturiere sono per lo più società di capitale. Dal 2011 sono diventate maggioritarie, seguite da ditte individuali e società di persone.

Un bel passo in avanti e, probabilmente, figlio della crisi del 2007. Solo le imprese societariamente mature potevano reggere la competizione internazionale, diversamente dalle ditte individuali e dalle società di persone. La contrazione del numero di queste società rappresenta l’evoluzione del sistema produttivo verso forme organizzative che meglio di altre possono sostenere la competizione internazionale. Il declino delle ditte individuali e delle società di persone sollevano dei problemi occupazionali, ma la loro permanenza avrebbe rallentato la necessaria capitalizzazione del tessuto produttivo regionale. Non dobbiamo dimenticare che in Europa le imprese leader sono società di capitale, e solo queste sono riuscite a contenere gli effetti della crisi. Il mercato, sostanzialmente, si è incaricato di selezionarle, diversamente da quanto accaduto in gran parte dei paesi europei in cui la politica economica pubblica ha giocato un ruolo importante.

Centro e periferia dello sviluppo lombardo. Sebbene la Lombardia sia rappresentata come uno dei quattro motori dell’Europa, la sua geografia economica è, nel corso di questi ultimi 15 anni, cambiata in profondità. Quella lombarda non è un’economia omogenea. Continua a perdere terreno rispetto all’Europa, ma le province manifestano tendenze che giustificano l’ipotesi di un centro e di una periferia. La crisi economica del 2007 cambia il segno dei processi produttivi ed economici, sebbene alcune tendenze erano già visibili fin dal 2000. Una rappresentazione della geografia economica è rintracciabile nel potere d’acquisto per abitante in percentuale della media Ue (28) e dagli euro per abitante, sempre in percentuale della media Ue.

Al netto della provincia di Milano, tutte le altre mostrano una contrazione del potere d’acquisto e del reddito disponibile per abitante (vedi il grafico). Si tratta di una tendenza storica che riflette la crisi di struttura produttiva delle province stesse. Lodi e Pavia, tra il 2000 e il 2011 (Eurostat non fornisce dettagli più aggiornati, ma non per questo i dati sono meno significativi) scendono al di sotto della media europea, rispettivamente da 120 a 91, il 24% in meno rispetto al 2000, e da 121 a 89, il 26,4% rispetto al 2000. Le altre province rimangono al di sopra della media europea, ma il calo medio è del 20%. Milano segue lo stesso trend, pur partendo da posizioni di vantaggio relativo. Qui il potere d’acquisto per abitante passa da 160 del 2006-2007 a 182 del 2011, recuperando e migliorando le posizioni del 2000.

L’economia reale e la conseguente occupazione mostrano un andamento simile in tutte le province della Lombardia. La produzione aggregata e la differenza del tasso di occupazione (da non confondere con il numero degli occupati) per provincia (2007-2014) ci ricordano come e quanto siamo ancora distanti dalle posizioni del 2007. Solo Bergamo ha ripreso i livelli del tasso di occupazione del 2007, nonostante un calo della produzione aggregata del meno 10%; Lodi, Brescia, Cremona e Mantova guadagnano in termini di produzione aggregata, ma scendono nel tasso di occupazione rispetto al 2007. Milano segue il trend delle altre province: la produzione cala del meno 4,7%, mentre il tasso di occupazione rimane inferiore (meno 3,8 punti) rispetto ai livelli del 2007.

In questo contesto, è necessario ricordare la distanza delle province lombarde nella produzione industriale rispetto alla Germania (solo Mantova raggiunge i livelli tedeschi di produzione, 6,6%), lo specchio fedele dei problemi di struttura che attraversa il paese. La produzione industriale nazionale diminuisce del 25%, quella lombarda del 3,4%. Secondo Nomisma si tratta di produzione industriale persa per sempre.

Ma cosa si nasconde dentro la “scatola nera” della forbice reddituale tra centro e periferia della Lombardia? Difficile trovare una risposta coerente e sufficiente per spiegare il fenomeno (particolare) della provincia di Milano, ma alcuni segnali li possiamo individuare nella cosiddetta ricchezza finanziaria. Quest’ultima, al netto degli immobili, stimata da Aipb (Associazione italiana private banking, 2012) ammonta a quasi 900 miliardi, e sarebbe distribuita tra 606 mila famiglie italiane.

La Lombardia sarebbe anche la regione dove si concentrerebbe la quota maggiore: 267 miliardi, pari al 29,8% del totale nazionale nel 2012, che diventano 295 miliardi nel 2014, con una crescita del 6% rispetto al 2013. La provincia di Milano intercetta il 17% di quella nazionale, ma se analizziamo la sola Lombardia, la ricchezza finanziaria di Milano sale al 55% del totale, ed è in costante crescita. Il peso della ricchezza finanziaria della provincia di Milano, rispetto alle altre province lombarde, spiega in parte la divergenza reddituale tra centro e periferia, ancorché serva un ulteriore sforzo di ricerca. Qualcuno, negli anni passati, si era spinto a immaginare Milano come la City di Londra. Milano non sarà mai uguale a Londra, ma una parte della sua performance dipende anche dalla ricchezza finanziaria.