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“Negli ultimi quattro anni non c'è stato alcun miglioramento significativo nel mercato del lavoro. Se misuriamo la ripresa rispetto a un parametro che non viene mai considerato, cioè il trend di crescita rivisto per gli effetti della crisi, scopriamo che dal 2011 l'Italia è ben al di sotto rispetto agli altri paesi industrializzati. E non si scolla, resta sempre distante, soprattutto per le ore di lavoro. Se la Germania se la passa meglio di tutti, noi siamo molto lontani dalla media”. A dirlo è Maurizio Franzini, ordinario di Politica Economica alla Sapienza Università di Roma, al quale abbiamo chiesto un giudizio sul piano straordinario per l'occupazione presentato dalla Cgil.
Rassegna Ovviamente la situazione più grave riguarda i giovani…
Franzini I dati dell'Ilo dicono che a fine anno la disoccupazione giovanile nel mondo raggiungerà praticamente il picco del 2013, cioè oltre il 13,2 per cento. Stiamo parlando di 71 milioni di persone. La percentuale di giovani a rischio di povertà altissima, molto di più rispetto agli occupati adulti. C'è anche una correlazione con i fenomeni migratori: i dati affermano che 51 milioni di migranti hanno un'età compresa tra i 15 e i 29 anni e la gran parte di essi risiede in Paesi avanzati. Dei Neet sappiamo ormai quasi tutto. E poi ci sono conseguenze sociali assai profonde, senza dimenticare che gli innovatori di solito sono proprio loro, i giovani occupati.
Rassegna In pratica ci sta dicendo che le ricette anticrisi degli ultimi anni non hanno funzionato?
Franzini L'austerità espansiva, il disprezzo per le politiche industriali e le cosiddette riforme strutturali si possono definire medicine tossiche. L'analisi dei moltiplicatori della spesa pubblica e delle tasse racconta cose molto diverse rispetto a quello che ci dice l'austerità espansiva. È incredibile come di fronte a evidenze di questo genere ci sia soltanto un'alzata di spalle quando si chiede a un politico – e l'ho fatto diverse volte – perché non applicare il teorema di Haavelmo. Sto parlando della teoria secondo cui, quando aumenti di un euro la spesa pubblica e le tasse, e dunque il deficit pubblico rimane invariato, comunque l'attività economica si espande perché il moltiplicatore della spesa è più grande del moltiplicatore delle tasse. Questo risulta da tutti (o quasi) gli studi empirici. Ma il problema è che le imposte non si possono aumentare, devono diminuire. Anche le riforme cosiddette strutturali fatte finora sono andate nella direzione sbagliata, opposta a quella scelta dal New Deal di Roosevelt e che era di contrasto del potere economico.
Rassegna Prima accennava anche a un certo disprezzo per le politiche industriali...
Franzini Sì. Eppure lo Stato può avere un ruolo straordinario di innovatore e di imprenditore. Lo ha già avuto nella storia. Peraltro, se applicassimo i criteri in base ai quali si considera un fallimento la politica industriale anche alla Silicon Valley – della quale si raccontano solo i successi – dovremmo chiuderla. Di fronte a tutto ciò, almeno a lume di ragione, non resta che cambiare strada.
Rassegna Il piano della Cgil va nella direzione che lei auspica?
Franzini Sì, la strada indicata nel documento ha aspetti interessanti e innovativi rispetto a quello che è accaduto negli ultimi anni. Le politiche per l’occupazione, quando si fanno, hanno altre caratteristiche. Si prenda Garanzia Giovani: le misure principali riguardano la formazione e il capitale umano oppure in altri casi si danno un po' di soldi alle imprese per le assunzioni e cose del genere. Nulla a che vedere con gli investimenti pubblici e con lo Stato “occupatore”. Purtroppo nessun paese sviluppato o in via di sviluppo sta puntando sul pubblico come occupatore, mentre io penso che sia giusto farlo e il progetto della Cgil va proprio in questa direzione.
Rassegna È una proposta che la convince anche nei dettagli?
Franzini Credo che su alcuni punti sia necessario un supplemento di riflessione per renderla più convincente. Si stima, ad esempio, un impatto sul Pil molto forte sul primo anno che mi sembra eccessivo data un'iniezione di 10 miliardi di euro. Mi sembra molto forte anche la riduzione del tasso di disoccupazione che si avrebbe nel secondo anno, dall'8,3 al 5,7 per cento a fronte di una crescita del Pil relativamente debole, pari all'1,1. Faccio anche notare che servirà altro capitale aggiuntivo per realizzare gli investimenti. Inoltre, i dati implicherebbero una caduta della produttività, perché si prevede che il Pil crescerà molto meno dell’occupazione. Comunque questi rilievi non mettono in discussione la direzione degli effetti, ma chiedono di verificare la loro entità anche precisando meglio i periodi in cui si prevede che si manifesteranno. Nel complesso l'impianto è decisamente condivisibile.
Rassegna Crede che le risorse si possano trovare?
Franzini Sì, non è un problema insormontabile, si possono trovare in molti modi. In particolare dall'imposta sulle grandi ricchezze sulla quale bisognerebbe fare un passo decisivo in avanti. Qualche problema in più invece lo vedo sugli aspetti “micro”, cioè nel modo in cui si vuole regolare la governance, il buon funzionamento del pubblico, la capacità di selezionare e attivare singoli progetti. Qui si deve essere più precisi. Per la distribuzione delle risorse, ad esempio, ci si riferisce alla gravità territoriale della disoccupazione. Ecco, questo punto non mi convince molto. Se proprio dobbiamo usare indici territoriali, allora meglio usare quelli del benessere, come il Bes fornito dall'Istat. Il mio suggerimento è sollecitare la presentazione di progetti senza però predeterminare quante risorse andranno a un certo territorio. Altra proposta: sarebbe opportuno attivare a livello territoriale forme di partecipazione deliberativa da parte dei cittadini, far scegliere a loro i progetti e farli partecipare. Questo ne faciliterebbe sicuramente la riuscita.
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