Scrivo queste righe mentre sono a Croydon, sobborgo londinese, teatro poco tempo fa delle azioni violente dei riots di cui molto si è parlato. Le persone incontrate mi riferiscono della percezione assai diffusa di come i media sociali siano stati il primo veicolo informativo durante i disordini. I medici dell’ospedale di Croydon grazie a twitter sono stati in grado di agire tempestivamente per anticipare interventi chirurgici complessi nel timore di disordini all’interno dell’ospedale. Alcune comunità turche si sono organizzate posizionandosi davanti alle vetrine dei loro eserciz, impedendo così furti da parte dei rivoltosi. Le persone usavano Twitter per sapere quali erano le strade piu tranquille per poter raggiungere casa.

Ma cosa sono i media sociali, cos’è il web? Sono luoghi, opportunità: le conversazioni, la narrazione, la socievolezza che entrano con straordinaria importanza come luogo terzo anche in chiave prospettica. Sono la riproposizione in chiave moderna dei caffè ottomani di fine ottocento che Jedlowski definisce la preistoria dei social network. Socievolezza e sfera pubblica intese a loro volta come tipi di conversazioni dotati di regole, strutture e funzioni diverse. Differenti tipi di conversazioni, quindi, che si intrecciano tra di loro. Un passaggio che si evidenzia nelle pratiche che si dispiegano in quelli che Ray Oldenburg ha chiamato, appunto, “luoghi terzi”: vale a dire gli spazi intermedi tra l’ambito professionale e quello familiare e caratterizzati da una socialità informale al cui interno le persone hanno modo di impegnarsi in conversazioni spontanee su argomenti vari.

In questo nuova desiderata transizione dall’economia industriale all’economia della conoscenza prova a stare la Fondazione <ahref (www.ahref.eu/it); si tratta infatti di un contesto nel quale il concetto di qualità dell’informazione è tra le nozioni che più sono investite dalla trasformazione in corso. Nel paradigma precedente la qualità era il frutto implicito dei filtri editoriali, delle autorità tradizionali, dei poteri che erano in grado di consentire o non consentire la pubblicazione. Questi fattori non hanno certo cessato di funzionare. Ma si trovano a dover inseguire una situazione in cui tutto può venire pubblicato, e di fatto viene pubblicato, senza molti filtri preliminari in rete, per dover poi essere cercato, valutato e interpretato con l’utilizzo di tecnologie e pratiche completamente rinnovate e in piena evoluzione. La qualità dell’informazione nell’epoca dei media sociali risulta dunque un argomento di ricerca di primaria importanza, anche perché è alla radice della costruzione dell’agenda comune e del coordinamento tra gli abitanti di un territorio.

Comprendere le dinamiche della qualità dell’informazione nei media sociali significa anche arrivare a proporre delle ipotesi sulla fattibilità della costruzione di piattaforme in grado di incentivarla, rifiutando programmaticamente qualunque progetto di definizione “top down” della qualità che non solo sarebbe perdente viste le logiche della rete, ma ne tradirebbe il compito storico di riequilibrare il capitale sociale disperso dall’eccesso di influenza dei media gerarchici che si era verificato nel paradigma precedente; in realtà, proprio puntando a comprendere come possa emergere un insieme di pratiche orientate alla qualità dell’informazione in rete in una logica “bottom up”, si dovrebbe poter arrivare a rinnovare la concezione stessa di qualità dell’informazione, migliorando la dinamica della formazione dell’agenda comune.

Il compito di <ahref consiste proprio nello sviluppo di una ricerca sulla qualità dell’informazione che emerge dalla rete sociale abilitata da internet e i media digitali, con l’obiettivo di ipotizzare, disegnare, implementare, sperimentare e testare logiche incentivanti che favoriscano il miglioramento della qualità dell’informazione stessa.
Nell’ambito di <Ahref pochi giorni fa è partito Timu (www.timu.it), un social network grazie al quale tutti coloro che vogliono informarsi e fare informazione in rete possono incontrarsi, trovare un metodo e dei princìpi comuni e condividere il proprio lavoro, creando inchieste collettive di qualità che potranno essere premiate o arrivare ai media tradizionali.
Su Timu condivideremo un metodo che contiene quattro principi essenziali:

L’accuratezza. Riguarda dati, persone, luoghi e fatti. Fa parte dell’accuratezza attribuire propriamente frasi, dati, identità e fatti. A ogni imprecisione la storia perde credibilità agli occhi del pubblico, finendo con il negare anche la validità del contenuto.
L’indipendenza. È necessaria una trasparenza che renda sempre informato il lettore di potenziali conflitti di interesse; in alcuni casi occorre astenersi del tutto dallo scrivere quando la portata di questi conflitti è troppo grande.
L’imparzialità. La realizzazione di un’inchiesta può essere paragonata all’atto di sollevare una pietra da terra per osservarne tutti i lati, anche quelli che prima erano nascosti. I lati puliti, dunque, ma anche quelli sporchi, se ci sono.
La legalità. Le leggi a difesa della privacy e i regolamenti a tutela dei minori vanno sempre rispettati. Nel principio di legalità rientra anche la protezione delle fonti anonime che sono un bene spesso necessario per chi fa informazione.
In conclusione, l’incontro delle persone e la narrazione delle esperienze rappresentano un’opportunità soprattutto per chi saprà comprendere il valore del senso di responsabilità