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Le difficoltà del settore tessile non accennano a diminuire. Soprattutto delle aziende storiche: la Corneliani di Mantova, ad esempio. Fondata negli anni cinquanta, col tempo è divenuta una firma internazionale dell’alta sartoria maschile, con filiali in Cina e Stati Uniti e stabilimenti in Romania e Slovacchia. Mercoledì 6 novembre il direttore generale Luigi Ferrando ha presentato il piano industriale del prossimo triennio, che prevede investimenti per 18,5 milioni di euro ma anche 130 esuberi (su 454 dipendenti, quindi il 28 per cento dell’intero personale) da realizzare entro la fine del 2020.
Negli ultimi anni l’azienda ha vissuto periodi di forte criticità. Fino al 2016 è stata guidata da vari esponenti della famiglia Corneliani, poi il 51 per cento è stato ceduto al fondo di private equity Investcorp (con sede nel Bahrein). La vendita non ha però portato al rilancio del marchio, e il fatturato è sceso dai 142 milioni di euro del 2012 ai 108 milioni del 2018. I sindacati parlano di “disastro” e considerano il piano industriale “irricevibile da tutti i punti di vista”. Giovedì 7 e venerdì 8 novembre si sono tenute due giornate di sciopero (il primo giorno con un’adesione del 95 per cento, il secondo del 100 per cento). Un nuovo stop di otto ore è previsto per giovedì 14 novembre, mentre altre otto ore di astensione dal lavoro sono state programmate entro la fine dell’anno.
“Il piano presentato dall'azienda è inaccettabile e lo rispediamo al mittente”, commentano Filctem Cgil e Femca Cisl territoriali: “Anni di diatribe e contrasti interni stanno portando a questo: a 130 licenziamenti che andranno a pesare tantissimo sulle famiglie mantovane. Un colpo che non accettiamo possa venire portato a compimento come se nulla fosse”. I sindacati rilevano che “Corneliani è il brand di alta moda che porta Mantova in tutto il mondo: il gruppo non ha bisogno di tagliare posti di lavoro, ma di investimenti seri. Solo così si può pensare a un rilancio”.
Il piano industriale, invece, prevede “investimenti per sei milioni di euro all'anno per i prossimi tre anni: investimenti che altro non sono se non i risparmi che verranno generati dai licenziamenti”. Gli esuberi richiesti (130) sono suddivisi in 72 operai e 58 impiegati, il 90 per cento del personale sono donne con famiglia. “Già nei mesi passati, vista l’aria che tirava, una cinquantina di lavoratori se n’è andata”, conclude il comunicato sindacale: “Quelli che l’azienda propone sono esuberi sugli esuberi volontari di chi ha scelto di farsi da parte. Inaccettabile”.
“Questa è una battaglia che combatteremo fino in fondo uniti”, ha affermato il segretario generale della Filctem Cgil mantovana Michele Orezzi, ricordando sia i tanti sacrifici fin qui fatti, dalle quattordicesime soppresse per i neoassunti ai livelli di inquadramento sottodimensionati, alla cassa integrazione della scorsa primavera, sia la riorganizzazione in realtà già avvenuta, considerando il calo di 50 unità verificatosi da gennaio a oggi tra pensionamenti e uscite volontarie.
“Questo Mantova non può permetterselo, la manifattura italiana non se lo può permettere”, aggiunge Orezzi, sottolineando che è da luglio che i sindacati chiedono un incontro con la proprietà. “Pensare un piano industriale sulla pelle di 130 lavoratori è inaccettabile, è l’azienda stessa che nel comunicato mandato agli organi di stampa ammette che i tagli serviranno per finanziare gli investimenti”, conclude il segretario generale della Filctem Cgil territoriale: “Ora la pazienza è finita, quanto è successo ha tracciato un solco da cui non si torna indietro”.
(mt)