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Trascorso il dovuto rispetto per il grave lutto seguito all’ultimo terremoto del Centro Italia, vorrei condividere con voi la rabbia e alcune considerazioni che purtroppo mi si ripropongono immutabili a ogni evento sismico. Parto da una storia personale risalente a tanti anni fa, quando stavo laureandomi in Scienze geologiche alla Sapienza. L’argomento della mia tesi di laurea era: “Misure di resistività nella zona di Montereale (Aq) nel periodo giugno 1983-giugno 1984”.
Senza entrare in dettagli tecnici, la mia tesi era una frazione temporale di una ricerca geofisica in cui si misuravano per un lungo periodo di tempo le variazioni di resistività elettrica del terreno al fine di verificare eventuali correlazioni con eventi sismici. Erano anni in cui americani, sovietici e cinesi si erano lanciati in ricerche sulla possibilità di prevedere i terremoti, dopo una felice previsione avvenuta in Cina nel 1975 che permise di salvare 150.000 persone. Sulla previsione dei terremoti tornerò più avanti. Partiamo dalla scelta della zona: l’altopiano di Montereale era già noto per la elevata sismicità, sebbene proprio in quegli anni si stesse procedendo a una classificazione sismica dell’Italia da parte dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), i cui affinamenti sono durati decenni.
Dopo aver riflettuto a lungo sullo stato dell’arte in paesi ben più avanzati del nostro, mi sembrò opportuno inserire nell’introduzione alcune considerazioni a latere che pensavo dessero un pizzico di valore aggiunto all’asetticità dell’esposizione dei dati. In estrema sintesi, pur continuando la ricerca nel campo della previsione per raccogliere eventuali benefici a lungo temine, in un territorio a fitta urbanizzazione come l’Italia non potevamo esimerci dal costruire con criteri antisismici i nuovi edifici e gradualmente adeguare gli esistenti per metterli in sicurezza, utilizzando appunto la mappatura Ingv in corso di realizzazione. Noi italiani dovevamo soprattutto attrezzarci a convivere con il terremoto.
Niente di rivoluzionario, era quello che veniva fatto da anni in Giappone ed in California, ad esempio. Fu quindi grande il mio stupore quando il relatore mi “consigliò” di tagliare quelle considerazioni e attenermi solo ai dati. Cercai di tener duro perché non capivo cosa ci fosse di sbagliato, e mi fu risposto che non era sbagliato ma che si entrava nella politica (??), che la scienza deve essere neutra (!!), che l’introduzione è l’unica cosa che la commissione legge di una tesi di laurea (vero, ma infatti volevo la leggessero), che quella premessa non era pertinente. Ovviamente alla fine lasciai perdere, tagliai la parte non gradita, presi la mia bella laurea e nella vita ho fatto tutt’altro, ma questa è un’altra storia.
Sono passati trentatré anni e ne passeranno altrettanti e a ogni italico terremoto si sentono – e sentiranno – sempre le stesse giaculatorie, promesse, piagnistei e ipocrisie; come dice una canzone di De Andrè lo Stato s’indigna, s’ingegna e poi getta la spugna. Non mi soffermo sulle responsabilità delle amministrazioni locali, dello Stato, delle mafie, della corruzione, dei costruttori e pure di qualche privato cittadino. Si è già detto molto, non si è fatto mai nulla. Parliamo per una volta delle responsabilità della classe scientifica, perché la scienza non è affatto neutra, come diceva il mio relatore. Ricordate il processo ai sette componenti della Commissione Grandi Rischi per il terremoto de L’Aquila? Condannati, sono poi stati salvati in Cassazione (tranne uno) con la motivazione che i terremoti non si possono prevedere, ed anche in questi giorni di lutto viene ripetuto il ritornello della inevitabile fatalità.
Non è esattamente così, perché esistono e vanno valutati attentamente i cosiddetti fenomeni precursori. Il punto non è che gli scienziati debbano fornire predizioni esatte come fossero il mago Otelma. Il punto è che nostri scienziati di chiara fama stettero tutti zitti nella famosa riunione del 31 marzo 2009 a L’Aquila, dando in tal modo un segnale di rassicurazione alla popolazione, quando fenomeni precursori quali lo sciame sismico e le variazioni di gas radon in falda rendevano probabile a breve termine un terremoto di consistente magnitudo. Non si può conoscere con esattezza quando e dove sarà l’epicentro, e questo è il motivo per cui si afferma che i terremoti non si possono prevedere, ma fu intellettualmente disonesto tacere sul rischio che era evidente. Come noto questo silenzio calò perché Bertolaso gradiva una posizione rassicurante espressa non da lui ma dalla crema dei luminari nel campo. Le intercettazioni sono più che eloquenti. Per rinfrescarsi la memoria c’è la puntata di Presa Diretta del gennaio 2013.
La scienza non è quindi neutra, a maggior ragione quando è serva della politica, e non bastano i meriti scientifici a lavare l’onta dell’ignavia. Nella smemorata Italia tutto questo è già stato dimenticato, si ricade presto nel fatalismo e nella rassegnazione. C’entra qualcosa la nostra Cgil in tutto questo? C’entra perché anche noi sindacalisti siamo impegnati nella campagna di solidarietà in aiuto alle popolazioni terremotate, confidando e controllando che questi aiuti vengano ben gestiti dalle amministrazioni. E’ nostro dovere aiutare nell’emergenza, ma noi che siamo un sindacato che promuove l’autotutela solidale e collettiva (art.1 dello Statuto) dobbiamo batterci affinché questo paese inizi ad uscire dalle emergenze. Non è così scontato perché le emergenze e le ricostruzioni sono molto redditizie, molto più del rispetto delle regole di costruzione antisismiche. Il profitto se ne infischia delle vite umane. Il nostro oltretutto è un profitto privato becero e straccione, perché paesi capitalisti quali il Giappone e la California investono nella sicurezza, che nel medio-lungo termine è più redditizia.
È tempo che la Cgil prenda una posizione ancora più forte e qualificata sul tema della ricostruzione e della messa in sicurezza, che potrebbe oltretutto portare lavoro nell’edilizia in crisi, senza consumo di suolo. Finora i governi hanno fatto il contrario, deportando le popolazioni terremotate, costruendo altrove, devastando l’ambiente. Abbiamo promosso una campagna sulla legalità. Responsabilità e mala gestione delle cosiddette calamità naturali ci riguardano perché riguardano quella collettività di cui vogliamo l’autotutela.
Credo, in conclusione, che siano ancora attualissime le parole che scrisse nel 1965 Ignazio Silone nel suo "Uscita di sicurezza" commentando il terremoto in Marsica del 1915, che lui aveva personalmente vissuto e che fece circa 30.000 morti:
"Nel 1915 un violento terremoto aveva distrutto buona parte del nostro circondario e in trenta secondi ucciso circa trentamila persone. Quel che più mi sorprese fu di osservare con quanta naturalezza i paesani accettassero la tremenda catastrofe. In una contrada come la nostra, in cui tante ingiustizie rimanevano impunite, la frequenza dei terremoti appariva un fatto talmente plausibile da non richiedere ulteriori spiegazioni. C’era anzi da stupirsi che i terremoti non capitassero più spesso. Nel terremoto morivano infatti ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d’ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della convinzione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo- terremoto o in un dopo-guerra".
Agnese Palma, segretaria Fisac Roma Sud, Pomezia, Castelli