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Terni, la città fabbrica, che per decenni, dalla fine dell’Ottocento in poi, si è identificata con l’acciaieria. Un legame forte, che perdura ancora oggi ed è diventato oggetto del corso di formazione, organizzato dalla Cgil locale. Un ciclo di lezioni - la cui prima parte è iniziata a novembre, mentre un master caratterizzerà la seconda tornata in primavera - che parlano delle storie, delle lotte dei lavoratori, con l’obiettivo di dare una lettura, la più esaustiva possibile, della fabbrica e dell’economia cittadina, con un valore, il lavoro, immutato nel tempo, che parla anche del presente e del futuro. È il nuovo appuntamento di Quadrato rosso. La formazione va in rete, la trasmissione di RadioArticolo1, e di Conoscenza&organizzazione, la rubrica di Rassegna sindacale.it, stavolta suddiviso in due puntate.
Nella prima parte, il professor Angelo Bitti, che insegna storia all’università della Tuscia, ha raccontato com’è nata la fabbrica, e lo sviluppo della città, a partire dal ventennio fascista. “La città si fa fabbrica e la fabbrica città. Nasce la fabbrica totale. Quando parliamo di Terni, parliamo di storia, ma anche d’identità e memoria. Da territorio agricolo, diventa zona industriale nel corso del secondo dopoguerra. A partire dagli anni duemila, la crisi ha colpito l’industria e la comunità locale ha reagito, battendosi contro la chiusura. C’è un’identità, ma molti esponenti della società ternana hanno anche provato a cambiare verso, cercando di trasformare la città in qualcos’altro. Di fronte alle crescenti difficoltà, l’amministrazione comunale si è chiesta cosa fare: è possibile trovare un’altra vocazione a Terni?”
Sempre Bitti, ricostruisce la genesi dell’acciaeria, “Nasce in Valnerina, per volere dello stato che decide e finanzia. La fabbrica è una scelta di politica industriale, in qualità di simbolo della potenza economica nazionale. S’identifica la conca ternana come luogo ideale per far sorgere l’industria: è lontana dai confini, è lontana dal mare, è un luogo ricco d’acqua, ideale anche per la produzione di energia idroelettrica. Nasce lì, perché si è convinti che la fabbrica porti la modernizzazione e il progresso. In tal modo, terni diventa autonoma dal punto di vista industriale, produce acciaio e armi, e poi elettricità. Nasce un vero e proprio cuore industriale, il più grande del Centro Italia, e lo Stato ha un ruolo determinante in tale processo. Il modello che si determina è un contributo dello Stato, che impone dazi sui prodotti siderurgici provenienti dall’estero. Grazie all’acciaieria, quel territorio fa un salto anche demografico. Molta gente arriva a Terni per lavorare in fabbrica, si può dire che emigra nella cittadina umbra, sulla falsariga di quanto avverrà successivamente negli anni Sessanta con i lavoratori meridionali alla Fiat di Torino”.
Invece, lo storico Sandro Portelli (insegna all’università la Sapienza di Roma) racconta la storia della classe operaia ternana attraverso le canzoni della tradizione popolare. “Dietro quelle canzoni, c’è coagulata una memoria storica, sulla Resistenza in particolare. Secondo Attilio Romanelli, segretario della Camera del lavoro locale, è un modo per conoscere la storia dei lavoratori ternani, che hanno trovato nelle acciaierie il punto di riferimento più importante. Qui si è vissuto una degli aggregati più importanti della fabbrica italiana. Il sapere operaio della fabbrica diventa la storia della città. Terni, in termini occupazionali, venne considerata per molti anni la Milano del Centro-Sud. Quasi tutti gli abitanti avevano un collegamento, diretto o indiretto, con l’acciaieria. Oggi, per un sindacalista, per un delegato, diventa importante saperlo. Ad esempio, nel 1943, l’acciaieria è anche una fabbrica d’armi. Sono i due punti di riferimento della città, e i partigiani entrano in fabbrica, prendono le armi e vanno a combattere in montagna. Oggi il tratto unificante è la Carta dei diritti universali del lavoro, che tenta di riunificare il lavoro precario e instabile, che ha cambiato la cultura del lavoro. Con il nuovo Statuto, la Cgil tenta di ricostruire un profilo identitario dei lavoratori attraverso l’affermazione dei diritti”.
“Con i corsi di formazione, si rivive tutta la storia della città – osserva Giancarlo Pelucchi, responsabile formazione Cgil nazionale –. Si può considerare come una sorta di storytelling, la capacità di ricostruire attraverso fatti veri, una classe operaia protagonista, raccontata in modo mitico, che non parla solo di orari e salari, ma di potere in fabbrica e diritti. A Terni, Il movimento operaio è stato un soggetto egemone rivendicandolo in una fase di grande frammentazione come quella che stiamo vivendo, vuol dire costituire oggi un soggetto storico. Ancora adesso, esiste un’associazione formata da intellettuali e vecchi dirigenti sindacali, che stanno tentando di recuperare non solo la memoria, ma anche d’immaginare un futuro per quella città e quell’area industriale. A fine 2017, sempre a Terni, si avvierà un nuovo corso su cos’è diventato il mestiere del sindacato in una città carica di esperienze lavorative e storia”.
“Nel corso delle lezioni – spiega Portelli –, abbiamo sottolineato due momenti della crisi della fabbrica: il 1953 e il 2004, dove si ripete, per certi versi, quanto già avvenuto mezzo secolo prima: picchetti, scioperi, manifestazioni, l’intera città bloccata, così come le strade e la ferrovia. A un certo punto, Terni diventa una città spettrale, fantasma, dove i commercianti chiudono i negozi. Nel frattempo, però, è cambiato il linguaggio: nel ’53 c’è una canzona bellissima sul licenziamento di 700 operai, che, malgrado tutto, cantano la lotta come se fossero a un passo dalla vittoria, ‘perché lo ha detto la Cgil’, ripetono. Mentre nel 2004 la classe operaia giovane non parla più di futuro, e chi può si aggrappa disperato alla propria sopravvivenza. Si ripetono i gesti, ma è cambiato il linguaggio, perché è mutata la relazione tra presente e futuro. Si è persa la centralità della fabbrica e si affievolisce il senso del lavoro legato alla professionalità”.