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Sorpresa dai dati sui redditi italiani: le Marche – regione generalmente considerata florida per attività produttive, vivacità imprenditoriale e turismo – sono all’ultimo posto tra quelle del Centro Italia e sotto la media italiana. Si registra infatti un reddito pro capite di 19.654 euro l'anno, mentre in Italia il valore medio è di 20.960 euro. Insomma, da questo punto di vista, sembrerebbe una regione da avvicinare più a quelle dell'Italia meridionale che settentrionale. “È proprio così – commenta su RadioArticolo1 Daniela Barbaresi, segretario generale della Cgil Marche –. Stiamo pian piano scivolando verso Sud. Ce lo mostrano tutti gli indicatori, da ultimo quello sui redditi. E non solo a livello regionale: anche le province tradizionalmente più ricche e dinamiche economicamente, come Pesaro e Ancona, si trovano ad avere redditi medi inferiori alla media nazionale e alla media delle altre regioni del Centro. Non va sottovalutato che nel 2016 e nel 2017 le Marche sono state colpite pesantemente dal sisma e anche questo ci ha penalizzato fortemente”.
Tra i dati che più colpiscono anche quelli resi noti da Bankitalia, secondo cui la produttività e la capacità di far profitto delle imprese marchigiane è aumentata, ma questo profitto maggiore non viene né reinvestito nell'economia né in creazione di posti di lavoro. “Sì – conferma Barbaresi –, c’è anche un problema di credibilità del sistema delle imprese, di cui però nessuno parla. La produttività è il frutto di tanti fattori: investimenti in innovazione, in tecnologie e in ricerca, certamente. Ma contano tanto anche fattori esterni all'impresa: infrastrutture decenti, reti viarie adeguate, energia, reti informatiche. Insomma, bisogna chiamare in causa, oltre alle imprese, anche le istituzioni sulle politiche di sviluppo”.
Tra i settori d’eccellenza più penalizzati dalla crisi nella Marche c’è sicuramente quello del mobile. “Ma non solo – spiega la sindacalista –: anche gli elettrodomestici sono andati in difficoltà, e poi c'è il calzaturiero che ha subìto fortemente anche scelte strategiche internazionali, basti pensare semplicemente al rapporto con la Russia e a cosa ha significato avere difficoltà con quei mercati”.
Se poi tra il 2017 e il 2018 l'occupazione soprattutto dipendente è tornata a crescere, attacca Barbaresi, “dobbiamo chiederci di quale tipo di occupazione si tratta. Continuiamo a veder crescere il lavoro precario: contratti a termine, tanto lavoro in somministrazione e soprattutto, e questo è estremamente preoccupante, il lavoro a tempo parziale. Complessivamente, un lavoratore dipendente su cinque ha un contratto precario e un lavoratore dipendente su tre di lavoro part time”.
Infine il welfare, i servizi sociali. “Anche qui – commenta la dirigente Cgil – la situazione si fa preoccupante, anche per una forte difficoltà ad avere relazioni normali con le istituzioni, a partire dalla Regione”. Un anno fa, ricorda la sindacalista, “abbiamo rilanciato la vertenza sulla sanità, ma in questi giorni, in cui si dovrebbe discutere il nuovo piano sanitario, facciamo una grande difficoltà a dialogare in maniera proficua con la Regione. E questo ci preoccupa perché negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli e a riorganizzazioni che hanno determinato un forte indebolimento soprattutto dei servizi sul territorio”.