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La Grecia è nel caos: dopo la rottura del negoziato tra il paese ellenico e i suoi creditori, ieri (28 giugno) il governo Tsipras ha annunciato la decisione di indire per il 5 luglio un referendum sul piano di riforme delineato dall’Eurogruppo e dal Consiglio. “Una vicenda delicatissima, dai cui sviluppi si giocano i destini dell’intera Europa – osserva Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil –. Ma soprattutto una vicenda che ha lasciato sul tappeto troppi interrogativi senza una risposta convincente”.
Rassegna A cosa ti riferisci in particolare?
Barbi Penso soprattutto alla domanda di senso comune che si sta facendo in queste ore l’opinione pubblica di tutta Europa: e cioè, cosa è successo da sabato 22 giugno, giorno in cui l’accordo tra la Grecia e le istituzioni europee sembrava cosa fatta, a oggi, quando l’accordo sembra addirittura impossibile?
Rassegna Ecco, Barbi, cosa è successo?
Barbi È successo che la proposta del governo greco avrebbe permesso, se accolta, un’intesa su due punti estremamente complicati e controversi: quelli relativi al debito pregresso, i 310 miliardi che Atene deve al fondo Salva Stati, e alla quantità di avanzo primario, vale a dire quanto la Grecia deve andare in attivo tra entrate e uscite. Su entrambe le questioni erano state concordate delle soluzioni e, nella sostanza, un accordo sui saldi. Il problema vero si è posto in merito a come arrivare agli obiettivi economici individuati. Con il governo greco sostenitore di una politica di riduzione dell’evasione fiscale e di un aumento delle tasse sui grandi patrimoni. Obiettivi non proprio in linea con la strategia delle istituzioni europee, tutta centrata su politiche economiche restrittive.
Rassegna A questo punto, il primo serio ostacolo è giunto dal Fondo monetario internazionale...
Barbi È così. L’Fmi non avrebbe mai potuto avallare un piano che prevedesse l’aumento della tassazione delle grandi ricchezze. Ciò che maggiormente quell’istituzione non fa mistero di aborrire.
Rassegna Naturalmente, non è stato solo il Fondo a impedire un accordo tra la Grecia e l’Europa.
Barbi Sì, la seconda difficoltà è venuta dal Club del Nord – Germania, Finlandia, Olanda su tutti – e da quei paesi consapevoli che il piano del governo greco avrebbe comportato un cambiamento complessivo delle strategie perseguite in questi anni in seno all’Unione, costituendo oltretutto un precedente pericoloso, di cui avrebbero potuto beneficiare anche altri Stati, a cominciare dalla Francia, dall’Italia e dalla Spagna. Anche se, a onor del vero, il governo di Madrid è sembrato, in tutta questa vicenda, più interessato a porre altri ostacoli al piano del governo Tsipras, preso in particolare dai suoi problemi di politica interna.
Rassegna Ti rifersisci alle prossime elezioni politiche di novembre?
Barbi Esatto. Il Partito popolare di Mariano Rajoy, dopo aver trascorso tutti gli anni del suo governo a ripetere agli spagnoli il refrain della mancanza di alternativa alle ricette liberiste di Bruxelles - una medicina amara, ma necessaria -, ora non può ammettere, con l’avallo dell’Europa, che questa alternativa sul versante delle politiche economiche esiste. Perché significherebbe riconoscere la legittimità delle parole d’ordine di Podemos, a soli cinque mesi dal voto.
Rassegna Cosa dovrebbe fare a tuo avviso il governo italiano?
Barbi Il governo del nostro paese ha brillato, assieme a quello francese, per la debolezza delle sue posizioni. Nessuno ha capito che cosa propone di fare Renzi per l’oggi e nemmeno in caso di default della Grecia. Ritiene giusto il referendum? Appoggia l’idea di dare, con un linguaggio da guerra, l’ultimatum a un intero popolo? La vicenda greca, lo ha ammesso proprio in questi giorni il dipartimento di Stato Usa, rappresenta una turbativa geo-economica di dimensioni colossali. In questo contesto, il nostro governo dovrebbe adoperarsi per far ripartire la trattativa. Non vedo quale altro ruolo potrebbe assegnarsi.