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“Perché sono stato comunista. La ricerca del comunismo democratico” è un buon libro che non lascia indifferenti. “Ho scritto questa riflessione sul comunismo italiano in pochi mesi – afferma nel prologo l’autore Iginio Ariemma –. Ci ho riflettuto a lungo e avevo molto materiale nei cassetti. È la mia storia di militante comunista intrecciata con la storia del Pci, attraverso i leader che ho conosciuto più da vicino, e che più mi hanno coinvolto per la loro personalità e originalità. Il filo rosso è la ricerca del comunismo democratico che, secondo me, è la peculiarità del Pci dalla lotta e dalla liberazione dal fascismo fino allo scioglimento nel febbraio 1991”.
“Perché sono stato comunista?”, si chiede fin dalle primissime battute l’autore. “Mi sono iscritto al Pci – racconta – nel 1960 dopo le manifestazioni del luglio di quell’anno contro l’ingresso nell’area di governo del Movimento sociale, erede del fascismo, promosso dal premier Ferdinando Tambroni. Avevo quindi già vent’anni. Anch’io partecipai alla manifestazione che si tenne a Torino, se ricordo bene tra piazza Statuto e via Cibrario, con la polizia in armi, schierata a testuggine, per impedire l’avvicinamento alla sede del Msi. La molla è stata dunque l’antifascismo più che il comunismo. Anzi sul comunismo avevo dei dubbi, nonostante mio padre, militante comunista, portasse a casa regolarmente l'Unità e altri periodici del Partito”.
Ariemma ha deciso di raccontare il Pci attraverso i suoi leader principali, “non le loro biografie che sono note e si possono trovare facilmente, ma attraverso il modo in cui li ho visti io”. Dodici quelli scelti. “Avrei dovuto aggiungere altri due nomi: Adalberto Minucci e Ugo Pecchioli, dirigenti di qualità e di valore, sebbene diversi per carattere e forse per concezione della politica, che mi hanno scoperto e sono stati importanti per la mia formazione e per la mia crescita politica a Torino. Non ci sono però riuscito”.
L’autore sostiene di essersi impegnato con il suo libro a rendere più umana la storia del Pci, in particolare con il fine di interessare maggiormente i giovani, che amano la storia concreta, “viva, fatta dalle persone che ne sono state protagoniste, con le loro contraddizioni e con i loro sogni”. Un obiettivo che Ariemma riesce a centrare in pieno, restituendo 12 ritratti deliziosi, caratterizzati da un perfetto equilibrio di pubblico e privato, particolare e generale.
Prosa scorrevole e accurata ricostruzione storica si mescolano, facendo piombare il lettore in un’Italia che appare meno lontana di quel che si potrebbe credere. Da Palmiro Togliatti a Bruno Trentin, a Giorgio Amendola passando per i fratelli Pajetta, Pietro Ingrao, Enrico Berlinguer, Nilde Iotti, Alessandro Natta, Giorgio Napolitano, Achille Occhetto, Claudio Napoleoni (l’unico a non esser stato un leader del Pci), Ariemma rappresenta accanto alle storie individuali dei personaggi il quadro sociale collettivo in cui essi si muovono, riuscendo a unire al destino individuale dei protagonisti l’affresco dell’epoca in cui si consuma la loro esperienza umana, unica e irripetibile, ma strettamente legata alla concreta situazione storica cui ogni individuo appartiene.
Affetto: è esattamente questo che dal libro traspare. Affetto per una storia fondamentale, per un partito importante, per delle persone a cui l’Italia e noi tutti dobbiamo molto. Unica pecca del volume la scarsa rappresentanza femminile. Solo una donna su 12 protagonisti, 3 pagine su 181 totali.
Specchio dei tempi (di “quei” tempi) più che della carente sensibilità dell’autore, che infatti scriveva alla Iotti nel novembre 1999: “Cara compagna Nilde Lotti, mia moglie sostiene da tempo che per cambiare la società italiana occorre un ingresso in massa nei posti di comando, a partire da quelli politici, delle donne. Soltanto così cambierebbero valori, modo di essere e forse anche lo stile o il galateo, come dici tu, che si è venuto determinando in questi anni. Io le rispondo sempre che non basta la quantità, ma che occorre la qualità. E ci troviamo d’accordo, entrambi, sul tuo nome, la tua passione, la tua intelligenza, la tua autonomia. Oggi però di fronte al tuo ritiro non ho più trincea”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale