PHOTO
Per esprimere il proprio no al Ceta, anche la Cgil sarà in piazza il prossimo 5 luglio per il presidio di Roma, a Montecitorio insieme a molte atre associazioni. L'iniziativa prenderà il via alle 10, mentre alle 11 è previsto l’intervento del segretario generale del sindacato di corso d'Italia, Susanna Camusso.
Il parlamento italiano sta infatti procedendo con una fretta preoccupante e immotivata alla ratifica del trattato commerciale tra Unione europea e Canada, che dopo il blocco del Ttip (trattato Usa-Ue) rappresenta, per le associazioni “la bandiera di una vecchia politica commerciale, subalterna agli interessi di pochi e inefficace per un governo equo della globalizzazione economica”.
“Non condividiamo la scelta di accelerare l’iter parlamentare di ratifica”, aveva commentato il responsabile Politiche Internazionali ed europee della Cgil, Fausto Durante, a margine del presidio precedente, organizzato il 27 giugno scorso sempre a Roma, ma in Piazza del Pantheon. Ora ci sarà questo nuovo sit-in.
Il presidio è stato organizzato insieme alle forze che si battono per un processo democratico, partecipativo e trasparente, affinché sia assicurato il diritto dei cittadini italiani alla più ampia informazione sui contenuti del trattato. L’Italia e la Ue in effetti continuano a perseguire una linea ultraliberista finalizzata esclusivamente alla massima liberalizzazione degli scambi commerciali. La Cgil vuole , invece, “mettere il commercio al servizio del lavoro di qualità, dei diritti di chi lavora, della salute dei lavoratori e dei cittadini, dello sviluppo sostenibile e dell’ambiente”. Il sindacato, e le altre organizzazioni e associazioni stanno quindi conducendo questa campagna per chiedere al Senato, poi alla Camera, di procedere a una discussione approfondita prima di assumere una decisione.
Il tutto ha come obiettivo dare occasione ai cittadini, ai lavoratori, alla società civile e alle parti sociali di esprimere le loro opinioni e perplessità su questo Trattato, che interferisce non solo sull’import e sull’export del nostro Paese, ma sulla vita e sul lavoro delle persone. L’obiettivo è anche quello di ripristinare un percorso democratico che è mancato durante un negoziato durato per sei anni nel segreto delle delegazioni.