Ci domandiamo spesso se la società in cui viviamo esprima in maniera reale e completa una piena democrazia o se siamo ancora lontani dalla realizzazione di un vero “Stato di Diritto” che garantisca e tuteli i propri cittadini tra di essi, ma anche nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni, di ogni ordine e grado. Due recentissime sentenze della Corte Costituzionale, il più alto organo giurisdizionale italiano, vengono in soccorso di quanti ancora hanno dubbi sulla risposta. Il mio parere è che la nostra democrazia non sia ancora matura da questo punto di vista e proverò a spiegarne i motivi. Lungi da me fare un discorso propriamente tecnico, mi soffermerò solo sull’aspetto più propriamente logico e intuitivo, oltre che etico.

Ricostruiamo la storia di queste due sentenze. Il 10/03/2015, con Sentenza n°70/2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato, al punto 2, “ l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento».

In soldoni, lo Stato, anche se in crisi finanziaria, non ha diritto di imporre misure vessatorie ledendo diritti acquisiti dei propri cittadini, in questo caso specifico i pensionati. In un Paese “normale” o, per essere più tecnici, in uno “Stato di Diritto”, una decisione del genere avrebbe automaticamente condotto alla restituzione del “maltolto” agli interessati. È un po’ come se una Banca decidesse, per motivi riconducibili a un periodo di difficoltà economico-gestionale interno, di bloccare all’improvviso la corresponsione dei legittimi interessi sui depositi ai propri correntisti, modificando unilateralmente le condizioni contrattuali pattuite al momento della stipula dell’accordo (apertura del conto corrente, conto deposito e quant’altro).

Se un giudice stabilisse, infatti, che la Banca aveva torto e che non poteva decidere da sola di cambiare le carte in tavola, la Banca (solitamente) pagherebbe tutto quanto dovuto e, per di più, con gli interessi. In Italia questo (forse) vale tra privati, ma non è valso per lo Stato che, condannato dalla sua più alta Corte di Giustizia, ha deciso di restituire solo in minima parte il “maltolto” ai pensionati, per di più (ma qui scendiamo nel giudizio politico) spacciandolo come un regalo e chiamandolo con l’evocativo nomignolo “Bonus Poletti” dal nome del ministro “eseguente”.

I pensionati, nella busta paga di agosto, hanno, così, ottenuto un parziale rimborso di quanto spettante e, stanti così le cose, non avrebbero più diritto di recuperare le somme sottratte. Uso il condizionale in quanto non sono poi così certo che, ricorrendo alle vie legali contro questa decisione del governo, i cittadini non possano ottenere giustizia e, di conseguenza, riavere le differenze economiche rimanenti. E soprattutto non uso il termine “sottratte” a caso, per questioni giornalistiche o per fare del sensazionalismo, ma perché di questo si tratta: denaro dei cittadini sottratto con una forzatura legislativa che, benché smascherata e condannata, passerà per lo più impunita (la proporzione di quanto riceveranno in media i pensionati oscilla, indicativamente, tra il 15 e il 20% di quanto avrebbero dovuto avere). Ma non è tutto.

Passiamo alla seconda, importante e ancor più stupefacente sentenza/vicenda, quella relativa al “blocco degli stipendi” degli statali e similari. Il 23 luglio scorso è stata depositata la sentenza con cui la Consulta, il 24 giugno, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale sopravvenuta – dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 178/2015 nella Gazzetta Ufficiale e nei termini indicati in motivazione – del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante da tutta una serie di disposizioni introdotte a partire dalla c.d. “Manovra correttiva 2011” (D.L. n. 98/2011), specificate dal DPR n. 122/2013 e prorogate dalle Leggi di stabilità per il 2014 e il 2015”.

Ergo, anche il continuo e reiterato blocco degli aumenti stipendiali del comparto pubblico perpetrato per circa 3 anni dai vari governi, è illegittimo. Altro denaro sottratto illecitamente ai cittadini, leso l’ennesimo diritto acquisito e torna calzante anche qui l’esempio fatto poc'anzi sulla banca che cambia le regole contrattuali in corso e priva di legittimi aumenti percentuali i propri clienti. Senza contare che in entrambi i casi stiamo parlando dello Stato e non di una banca privata, il che rende la cosa ancor più grave, incommensurabilmente più grave per mille motivi e ricadute pratiche ma anche e soprattutto etiche. Come fa, del resto, uno Stato a imporre le proprie leggi e norme ai privati se esso stesso le viola come e quando vuole per un non meglio identificato “Diritto di Stato”?

Comunque, tornando al caso degli stipendi bloccati dal 2011, la cosa ancora più grave è che, sotto la minaccia del governo e del suo “braccio legale”, la potente Avvocatura dello Stato, la Corte Costituzionale sembra essersi intimorita emettendo una sentenza che rasenta l’assurdo giurisprudenziale: il blocco degli stipendi era sì illegittimo, ma lo Stato non deve risarcire i dipendenti per il passato; deve solo affrettarsi ad aggiornare la contrattazione per il futuro prossimo. Orbene, che l’artifizio giuridico sia quantomeno precario è evidente a tutti, ma quanti avranno il coraggio, così come per le pensioni non rivalutate, di opporsi e fare un ricorso? Speriamo che qualche temerario ci sia o che, meglio, si dia vita a una vera e propria class action magari promossa all’unisono da sindacati e associazioni dei consumatori e che il diritto non solo venga rispettato, ma anche esteso a tutti automaticamente.

Qui l’esempio della banca neanche reggerebbe perché sarebbe assurdo pensare che un giudice, interpellato da un correntista che denunci l’istituto di credito per avergli negato gli interessi sul proprio deposito di contante, si esprimesse contro la banca, quindi a favore del cittadino, ma chiosando la sentenza con “però l’Istituto di credito non gli deve nulla anche se ha sottratto denaro illegalmente”. Per lo Stato, per il nostro Stato, questo è possibile. Perciò ritengo che non ci sia più ombra di dubbio: l’Italia non è ancora pienamente uno Stato di Diritto e sui nostri diritti vince e prevale il Diritto di Stato. Vogliamo rassegnarci o indignarci? Temo di conoscere la risposta.