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Quando si chiedono più tutele e giusti riconoscimenti economici e professionali per i lavoratori, quello che in tutti i settori si sente sempre ripetere è che tutto ciò renderebbe il sistema non più sostenibile. Lo sport non è da meno: anzi, forse una questione simile viene in questa realtà, dove le società chiedono continuamente un’ulteriore ampliamento di sostegni e finanziamenti, sollevata più che altrove. Ma come avviene il sovvenzionamento delle attività del settore? Le società e le associazioni dilettantistiche si sostengono attraverso le entrate provenienti dalle quote pagate dagli associati e dai praticanti; dai contributi erogati dalle amministrazioni comunali e regionali; dalle entrate dovute alla gestione degli impianti, dalle diverse attività svolte, dagli incassi delle manifestazioni sportive, da eventi e feste sociali. Importanti anche i contributi ricevuti da liberalità volontarie e dai contratti pubblicitari.
In alcuni casi, le norme prevedono anche dei trattamenti di favore. La legge 398/91, ad esempio, prevede agevolazioni per la contabilità semplificata delle società dilettantistiche fino 400.000 euro l’anno (e questo tetto esclude le somme erogate dagli enti locali per la gestione degli impianti sportivi pubblici). Per chi sceglie il regime semplificato è prevista una agevolazione dell'Iva, calcolata al 10 per cento sul valore delle fatture previste dai contratti pubblicitari. Sono agevolate anche le quote di iscrizione versate dagli iscritti che possono recuperare dal reddito imponibile la quota di 210 euro versata alla società per la pratica sportiva dei minori di 18 anni. Ma questo per molte società non basta e in molti casi viene invocato, per giustificare la richiesta di ulteriori facilitazioni, l’indubbia funzione sociale che lo sport svolge.
Una prospettiva condivisa da Cgil, Slc e Nidil, che tuttavia ritengono “indispensabile e necessario rivedere le forme e le fonti di finanziamento collegando ogni agevolazione esistente, ogni ulteriore incremento e ogni futura disponibilità a creare regole trasparenti: nella gestione delle risorse; nella definizione delle regole per la gestione delle strutte sportive pubbliche; nel riconoscimento della prestazione sportiva organizzata; nel riconoscere la regolarità del diritto del lavoro”.
E questa maggiore qualità i sindacati la invocano, appunto, a partire dal trattamento di chi lavora nello sport: tutele e diritti, dunque, e una “retribuzione con compensi equi e comunque adeguata alle competenze e alla mole di impegno richiesto nello svolgere mansioni con sempre più responsabilità; una adeguata copertura previdenziale, oggi per la quasi totalità sconosciuta o inesistente; coperture assicurative per infortuni, tutele assistenziali e malattia; copertura per i periodi di inoccupazione; riconoscimenti per poter accedere in modo adeguato al sistema di quantificazione e di aggiornamento professionale; tutela per la responsabilità civile verso terzi; norme di agevolazione per accedere al credito da parte di chi vuole avviare una nuova esperienza professionale”.
Insomma, per la Cgil “ogni forma di agevolazione e riconoscimento normativo ed economico che si pensa di mettere in atto deve avere come aspetto e riferimento fondamentale la qualificazione del sistema sportivo, della sua messa in trasparenza e della regolarizzazione delle prestazioni lavorative”.