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Il calo dei redditi e del potere d’acquisto ha imposto nuove strategie di consumo per tenere in equilibrio qualità e bilancio familiare. Il made in Italy orienta gli acquisti ma la barriera del reddito impone a molti di optare per prodotti di qualità inferiore. E' quanto emerge dalla ricerca sulle famiglie italiane e la spesa alimentare presentata oggi a Expo 2015 dalla Flai Cgil in collaborazione con Tecnè e l'Associazione Bruno Trentin.
Dalla ricerca (qui il pdf) si evince che la crisi economica ha inciso profondamente sui comportamenti di consumo delle famiglie italiane. “Il 73% delle famiglie, infatti – si legge - ha cambiato modo di fare la spesa e l’adeguamento degli standard di consumo non riguarda solo le fasce di reddito più basse (tra le quali il 90% ha messo in campo nuove strategie d’acquisto), ma anche quelle alte (il 51% delle famiglie). Un cambio dei paradigmi di consumo che si traduce nell’evitare gli sprechi (complessivamente l’87% delle famiglie fa attenzione a non acquistare più del necessario) e nel cercare i prodotti con il migliore rapporto qualità/prezzo, districandosi tra grande distribuzione (soprattutto per i generi a ciclo industriale) ed esercizi di fiducia (soprattutto per i prodotti freschi)”.
Nel 2014 – ricorda lo studio - la spesa alimentare mensile è scesa sotto i livelli del 2005. Per quest’anno l’indagine stima un leggero incremento rispetto l’anno scorso, ma i livelli restano lontani da quelli pre-crisi. Inoltre, la riduzione della spesa non è solo quantitativa, ma anche (soprattutto) qualitativa. Nel carrello trovano sempre meno spazio prodotti di fascia alta (olio extravergine d’oliva, vino di qualità, carne bovina) mentre aumentano i consumi dei prodotti più accessibili dal punto di vista del costo (altri olii e grassi, carne di maiale, pollame, uova, birra).
Nel complesso “il 42% delle famiglie ha ridotto la qualità dei prodotti alimentari che acquista e il 58% fa la spesa nei discount per risparmiare. Ma c’è di più – sottolinea la Flai -: il 56% delle famiglie a basso reddito acquista meno di quanto sia necessario e una famiglia su cinque si è rivolta alle istituzioni per avere un aiuto per fare la spesa”.
Gli acquisti sono “responsabili” (il 90% controlla la scadenza, l’85% la provenienza) e caratterizzati da una vocazione etica (il 74% predilige generi alimentari che derivano da produzioni non inquinanti, il 60% è disposto a fare un sacrificio economico, acquistando prodotti di aziende che hanno una filiera produttiva rispettosa dei lavoratori). Questi parametri rimangono, però, un’aspirazione spesso difficile da mettere in pratica perché il diaframma del reddito limita le possibilità di scelta.
Analogo discorso per i prodotti italiani che orientano i comportamenti di consumo delle famiglie ma il cui costo spesso fa la differenza fra ciò che si vorrebbe acquistare e ciò che è possibile inserire realmente nel carrello della spesa.
La Flai ricorda che “realizzare e presentare, nel contesto di Expo, una ricerca su come siano cambiati i consumi alimentari in questi anni, è un modo di declinare il concetto di diritto al cibo, cui è dedicato l’Expo. Diritto al cibo, come il cibo si consuma e come si accede ad esso sono concetti indissolubilmente legati e che si associano alla qualità dei prodotti e qualità del lavoro”.
“Dietro ai prodotti che giungono nei negozi e sugli scaffali – sottolinea il sindacato - la qualità non può prescindere dal fatto che dietro a quel prodotto ci sia anche un lavoro di qualità, cioè giustamente retribuito, un lavoro dignitoso, che rispetta i diritti di chi, lungo tutta la filiera, coltiva, trasforma, confeziona quei prodotti. Tra le tante cose, è significativo che nella ricerca emerga come il concetto di 'tutela dei lavoratori' venga indicato dagli intervistati come elemento importante e per il quale sarebbero anche disposti a spendere di più”.