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Il 29 settembre 2010 in Spagna è giorno di sciopero generale. Le due confederazioni sindacali spagnole, Comisiones Obreras e Ugt, lo hanno indetto – nel vivo della grande crisi economica e sociale che la Spagna conosceva in quel periodo – per protestare contro le riforme del mercato del lavoro e le politiche di austerità messe in atto dal governo, allora presieduto dal socialista José Luis Rodriguez Zapatero.
Lo sciopero è molto partecipato, con punte di adesione elevate particolarmente nei servizi pubblici e nell'industria. Come di consueto, in prossimità degli spazi di concentrazione e davanti ai principali luoghi di lavoro sono stati organizzati picchetti di informazione e distribuzione di materiale relativo allo sciopero. Un picchetto è attivo anche alla porta d'ingresso dello stabilimento della Eads di Getafe, dove si costruiscono componenti degli aerei Airbus. Una discussione accesa tra i manifestanti e un lavoratore che contesta lo sciopero diventa il pretesto per una carica della polizia, che culmina nell'esplosione di sette colpi di arma da fuoco in aria da parte di un agente. La mattina dopo José Alcazar, rappresentante sindacale nel comitato d'impresa, viene messo sotto inchiesta e con lui altri quindici lavoratori, i cui nomi erano stati forniti agli inquirenti dal servizio medico di Airbus.
Dopo un processo di identificazione sommario, condotto attraverso l'esame delle foto dei candidati nelle elezioni sindacali svolte poco tempo prima dei fatti, gli indagati restano otto. Lo stesso José Alcazar più Enrique Gil, Tomás García, Armando Barco, Jerónimo Martín, Raúl Fernández, Edgar Martín, Rodolfo Malo. Tutti vengono rinviati a giudizio, con una richiesta delle autorità competenti di condanna a otto anni e tre mesi di carcere per ciascuno degli accusati, per un totale di 66 anni complessivi.
Anche il 29 marzo del 2012 in Spagna è giorno di sciopero generale, indetto dai sindacati contro le nuove riforme del lavoro e le nuove misure volute dal governo nel frattempo passato sotto la guida del popolare Mariano Rajoy, sempre nel segno dell'austerità imposta dalla troika composta da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Un nuovo successo di partecipazione e di adesione alla protesta, una nuova tappa nella mobilitazione sociale con centinaia di iniziative, picchetti, proteste diffuse. Rubén Ranz, attivista sindacale, distribuisce volantini con dei compagni nei pressi dell'hotel Ritz, nel centro di Madrid. Vogliono che i ricchi clienti di quell'albergo di lusso sappiano perché è stato proclamato lo sciopero. In un momento di tensione scatta l'intervento della polizia, un dimostrante anziano cade e Ruben, fermatosi ad aiutarlo, viene preso e portato via. Il giorno dello sciopero lo trascorre così in una camera di sicurezza, da cui esce solo il giorno successivo. Per lui viene richiesta la carcerazione preventiva, con la motivazione che da libero il suo sindacato avrebbe potuto farlo espatriare. Il giudice non accoglie la richiesta ma alla fine dell'istruttoria anche per Rubén si apre la strada del rinvio a giudizio e della richiesta di condanna a sette anni di carcere e a 7.500 euro di multa.
Episodi analoghi, dal 2010 ad oggi, si sono moltiplicati in Spagna, con la conseguenza che sono oltre trecento gli attivisti, i delegati e i dirigenti sindacali inquisiti, in attesa di processo e sotto la minaccia del carcere. Processi e minacce che derivano dal ritorno in auge di un comma del codice penale, il numero 3 dell'articolo 315, scritto nel periodo della dittatura franchista con il chiaro obiettivo di limitare il diritto di sciopero e di azione sindacale. Un comma che negli ultimi quaranta anni, ossia dal ritorno della democrazia in Spagna, era stato dimenticato e mai applicato, per quanto formalmente in vigore.
La solidarietà di Susanna Camusso
È evidente che il ritorno al comma franchista contro i picchetti, la sproporzione delle richieste di condanna, la mano dura verso le manifestazioni sindacali rappresentano una risposta di carattere repressivo e una scelta – che alcuni giuristi hanno definito di “criminalizzazione selettiva dei partecipanti” alle iniziative di protesta – per scoraggiare i cittadini e dissuaderli dal prendere parte in futuro a iniziative analoghe. Più che un atto di giustizia, si tratta di una sorta di castigo preventivo verso i cittadini, i lavoratori, i sindacati, nel solco di una tendenza all'autoritarismo nelle relazioni sociali che in Spagna è particolarmente forte ma che si avverte sensibilmente anche in altri Paesi europei. L'Europa del compromesso tra gli attori del processo economico e produttivo, l'Europa del modello sociale e dell'equilibrio nelle relazioni e nella distribuzione della ricchezza, oggi considera le organizzazioni sindacali, le loro richieste di condizioni migliori per l'insieme della società, la loro capacità di resistenza e di iniziativa come un ostacolo da abbattere.
Per questo il diritto di sciopero e la libertà dell'azione sindacale sono sotto attacco. La Spagna non è un caso isolato. In Gran Bretagna con il Trade Union Bill, in Finlandia con la proposta di riscrittura del codice del lavoro, nei paesi Baltici e in quelli dell'est europeo con le nuove leggi sulla rappresentanza sindacale, la questione della limitazione crescente del diritto di sciopero unifica le richieste delle imprese e le scelte dei governi. Né vanno dimenticate le polemiche che di recente abbiamo avuto in Italia a proposito dell'assemblea sindacale dei lavoratori del Colosseo che ha dato origine ad un surreale dibattito sullo sciopero e a un intervento per decreto da parte del governo.
Serve, quindi, una risposta dei sindacati, a livello sia nazionale che europeo, all'altezza di questa sfida. Dobbiamo continuare a ricordare che il diritto di sciopero è un diritto garantito dalle Costituzioni della maggior parte dei Paesi europei, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dai protocolli e dalle convenzioni internazionali sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite. E dobbiamo continuare a difendere la particolare protezione giuridica di cui godono, in tanti ordinamenti, il diritto di sciopero e le libertà sindacali. Una protezione che definisce il tratto democratico degli Stati e la loro capacità di riconoscimento della dimensione collettiva della rappresentanza.
Abbiamo cominciato martedì scorso, proprio a Madrid, a costruire il carattere europeo della risposta a questo attacco. Nell'auditorium intitolato a Marcelino Camacho, storico leader e fondatore di Comisiones Obreras, si sono ritrovati centinaia di attivisti e dirigenti sindacali, dalla Spagna e da altri Paesi europei, per dire che gli otto di Airbus (per i quali il 9 febbraio prossimo sarà emessa la sentenza) e i tanti lavoratori sotto processo non sono soli, che la loro lotta è una lotta europea e internazionale, che questa battaglia rappresenta oggi il crinale tra il futuro del lavoro e le tentazioni di ritorno al passato. E per ribadire che lo sciopero non è un delitto, ma un diritto.
Fausto Durante è il responsabile area Politiche europee e internazionali della Cgil