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Nella lotta alla mafia tutti "devono partecipare attivamente, e non solo a parole, perché le mafie si sconfiggono su più fronti, e non solamente sul 'versante sbirresco'". Lo afferma il segretario generale del Silp Cgil, Daniele Tissone, commentando le due scritte apparse a Locri - e subito cancellate - "Più lavoro e meno sbirri" e "don Ciotti sbirro". Le scritte "mi chiamano in causa in quanto 'sbirro' - riflette il segretario - una definizione, questa, che si fa derivare dal tardo latino e che probabilmente è riferita alla casacca o mantello dei guardiani di ronda del Medioevo, termine oggi dispregiativo che, però, ha anche dato spunto ad una molteplice produzione letteraria e cinematografica nonché al libro di Claudio Bachis Vita da sbirro che racconta 'pregi e difetti' di questo ingrato mestiere".
Nello specifico delle due frasi, a suo avviso, la prima "è una ragionevole richiesta a portare il lavoro che manca in quella terra che, come altre del nostro malato Sud, non esiste o quasi. Inoltre, dire meno forze di polizia (usare la terminologia 'sbirri' mi inquieta perché delinea fin troppo bene l'autore della frase stessa), sarebbe altrettanto condivisibile sempre che la "risposta muscolare dello Stato" potesse diventare un'altra rispetto alle molte, tante cose da fare".
Parlando della figura di Don Ciotti, prosegue, "l'averlo accostato a noi non credo gli causerà alcun problema anche perché - volente o nolente-, egli convive ormai da tanto tempo con la nostra gente. Semmai - piuttosto - inquieta pensare che lui faccia o debba 'comportarsi da sbirro', cosa che non fa e di cui non ha bisogno. Semmai c'è da riflettere, interrogandoci, su quanto affermato a Locri dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha sperimentato in prima persona il dolore e che conosce bene il volto della criminalità organizzata". Per Tissone il punto è questo: "Ci riconosciamo nelle sue parole e facciamo ciò che serve davvero per debellare simili piaghe? Mattarella ci ricorda infatti che "i mafiosi non conoscono pietà né umanità, non hanno alcun senso dell'onore, non hanno alcun senso del coraggio, i loro sicari colpiscono persone inermi e disarmate".
"Tra le vittime della mafia non ci sono solo quelli che l'hanno affrontata - afferma infine -, poliziotti e magistrati, consapevoli del rischio a cui si esponevano. Le mafie non risparmiano davvero nessuno e non esitano a colpire chiunque si frapponga a loro e i loro obiettivi criminali, che sono denaro, potere, impunità. Questa è la lezione e la base da dove cominciare, ma per farlo tutti devono sentirsi in gioco".