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Simona Fabiani è la prima firmataria di un appello – cui hanno aderito a titolo individuale oltre 400 sindacalisti della Cgil – a favore del referendum contro le trivelle, in cui si invita a votare sì il prossimo 17 aprile
Parlando del referendum contro le trivelle del 17 aprile il primo obiettivo deve essere quello di garantire la massima informazione ai cittadini, affinché siano messi nella condizione di esercitare il diritto costituzionale a esprimere la propria volontà. In questo momento, l’informazione sul referendum è pressoché assente e il governo, accorciando al massimo i tempi della campagna mira a impedire la libera espressione della volontà popolare, mortificando ancora una volta l’istituto referendario, proprio all’avvio di una grande stagione, di cui anche la Cgil sarà protagonista, sul versante del lavoro.
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Il quesito del 17 aprile propone di abrogare la norma che consente alle società petrolifere, già titolari di una concessione entro le 12 miglia dalla costa, di cercare e di estrarre gas e petrolio per tutta la durata di vita utile del giacimento, andando oltre la scadenza delle concessioni in essere. Se si raggiungerà il quorum e vincerà il sì, le società petrolifere non potranno sfruttare i giacimenti di idrocarburi a ridosso della costa italiana dopo il termine della concessioni. Non si tratta quindi di una chiusura immediata di tutte le attività estrattive in corso entro le 12 miglia, ma di una chiusura delle singole concessioni a scadenza naturale delle stesse.
Questo per quanto riguarda il singolo quesito. Il referendum assume tuttavia una valenza politica importante, perché apre il dibattito sul modello energetico e sul modello di sviluppo per il futuro del nostro paese. La Conferenza sul clima di Parigi dello scorso dicembre ha ratificato l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, con l’impegno a sforzarsi per 1,5 gradi: questo significa che se vogliamo salvare la vita sul pianeta la maggior parte delle riserve di fonti fossili disponibili deve rimanere sotto terra. Per farlo occorre accelerare la transizione verso un nuovo modello energetico, democratico, decentrato, fondato su efficienza energetica e 100% rinnovabili.
I rischi correlati all’uso delle fonti fossili sono ben noti: cambiamenti climatici, guerre, devastazione ambientale, danni alla salute delle popolazioni e dei lavoratori, dipendenza energetica, ripercussioni negative sul turismo, sull’agricoltura, sulla pesca, enormi costi sanitari e di risanamento ambientale. A questo va aggiunto che in Italia le riserve sono irrilevanti e di scarsa qualità, che le royalty sono fra le più basse nel mondo e che il nostro paese continua a erogare consistenti sussidi alle fonti fossili.
Appare davvero miope voler perseguire con ostinazione una strada, quella delle fonti fossili, che non offre nessuna prospettiva per il futuro, nemmeno per i lavoratori diretti e indiretti, e che per il presente offre benefici solo ai petrolieri, e talvolta nemmeno a loro, come dimostrano le recenti rinunce alla ricerca di gas e petrolio nei mari italiani di alcune compagnie. Il nostro paese deve rivedere la strategia energetica nazionale e approvare al più presto un piano di decarbonizzazione, per garantire la giusta transizione dei lavoratori, per dare sostegno al reddito, riqualificazione professionale e ricollocazione ai lavoratori dei settori che devono essere dismessi o riconvertiti.
L’accelerazione della riconversione ecologica dell’economia offre una grande opportunità di sviluppo e occupazione. Lo sviluppo sostenibile ha un maggior impatto occupazionale ed è meno soggetto a delocalizzazione, basti pensare alle possibili opportunità occupazionali nella tutela del territorio, nella prevenzione del dissesto idrogeologico, nell’efficientamento energetico degli edifici, per lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza energetica, nella riduzione dei rifiuti e nel riuso dei materiali, nella bonifica dei siti industriali inquinati, nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali e artistici, nelle infrastrutture digitali, nei servizi alla persona, nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, oltre a tutti i relativi sviluppi nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico. Per dare una spinta a questo cambiamento il 17 aprile dobbiamo andare a votare e votare sì al referendum contro le trivelle.
Simona Fabiani è responsabile ambiente e territorio della Cgil nazionale