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Il libro Il welfare del lavoro. Il ruolo dei servizi per l’impiego in Italia di Ludovica Rossotti, Piera Rella, Alessandra Fasano e Patrizio Di Nicola (Franco Angeli, pp. 157, 19 euro) è incentrato sull’evolversi del mercato del lavoro italiano, delle politiche del welfare e del diverso ruolo che gradualmente assumono le politiche del lavoro attive in Italia.
Sin dagli inizi degli anni ottanta si assiste nel nostro Paese, sulla scia di quanto avvenuto negli Usa e in Gran Bretagna con le politiche di Reagan e di Thatcher, a un’offensiva strategica delle imprese e del potere politico volta a demolire le conquiste dei lavoratori, a indebolire i sindacati e a ridurre il ruolo dello Stato sociale. Flessibilità dei mercati, delle strutture organizzative e produttive, flessibilizzazione del mercato del lavoro sono gli ingredienti principali del “nuovo” capitalismo globalizzato. Il concetto di flessibilità diviene il leitmotiv dei fautori più accesi della rivoluzione neoliberale, che ignorano i risvolti di precarietà del lavoro che la flessibilità comporta.
In un tale contesto, dove il lavoro è sempre più frammentato e differenziato, quali sono le risposte intraprese dai servizi per l’impiego per rispondere alle nuove sfide emergenti? Quali sono le criticità e le opportunità di questi servizi? Se da un lato le agenzie per il lavoro private e gli enti di formazione accreditati stanno acquistando una presenza maggiore nel quadro dei soggetti chiamati a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, dall’altro i centri per l’impiego pubblici si affiancano sempre di più con i servizi di orientamento e placement delle università. Una collaborazione che nasce dall’esigenza di andare incontro a un target di disoccupati che si ha difficoltà a soddisfare, con il rischio sempre maggiore che la/il laureato si rivolga a un'agenzia di somministrazione privata.
La presenza di più soggetti che gestiscono servizi per il lavoro può essere una ricchezza, ma c’è anche il rischio di dispersione degli interventi; l’importanza della ricerca proposta è anche quella di fare maggiore chiarezza sulla situazione. Per questa ragione si è deciso di monitorare e valutare i servizi offerti, al fine di evidenziare non solo problematiche, ma anche proporre possibili soluzioni praticabili, intercettando le best practice realmente esportabili da un territorio all’altro.
Gli obiettivi della ricerca, svolta con oltre 60 interviste semistrutturate rivolte soprattutto a operatori dei diversi servizi e in misura minore agli utenti, sono individuare i punti critici dei servizi per l’impiego sui quali è necessario intervenire e far emergere buone pratiche utili al loro rafforzamento. Il volume, frutto della collaborazione di più autori, è diviso in due parti.
La prima inquadra il problema del welfare del lavoro nel suo contesto storico e sociale: condizioni e riforme del mercato del lavoro, politiche attive del lavoro previste dall’Unione europea e attivate dalle Regioni italiane. La seconda parte presenta la ricerca sul campo svolta nei diversi tipi di servizi per l’impiego, con l’obiettivo non solo di capire come funzionano, ma anche quali buone pratiche sono esportabili da un servizio all’altro.
Più dettagliatamente il primo capitolo, redatto da Roberto Cavarra e Piera Rella, si propone di comprendere il difficile contesto in cui operano i servizi per l’impiego, guardando anzitutto ai cambiamenti del mercato del lavoro e alle trasformazioni che hanno attraversato la società e soprattutto le riforme, concentrandosi in particolare sul pacchetto Treu (1997), la legge Biagi (2003), la riforma Fornero (2011) e infine con il Jobs Act (2014), provvedimenti che hanno tutte a loro modo contribuito allo smantellamento della contrattazione collettiva.
Nel capitolo successivo, scritto da Francesca Bergamante e Manuel Marocco, l’attenzione si focalizza sulle politiche attive del lavoro proposte dall’Unione europea e che trovano difficoltà a essere attuate in Italia, se si esclude forse il periodo del programma Garanzia Giovani finanziato dal Fondo sociale europeo. Il problema del finanziamento, insieme al continuo cambiamento del modello organizzativo dei servizi per l’impiego italiani negli ultimi trent’anni, ha comportato politiche attive poco efficaci, non rispondenti alle richieste europee.
Nei capitoli terzo e quarto, Alessandra Fasano inquadra la tematica del welfare del lavoro in un ampio contesto storico e teorico, sia a livello nazionale che relativamente alla Puglia, un caso interessante di regione, per di più meridionale, capace di muoversi tra i vari aspetti della promozione dell’occupazione: finanziamenti per attività formative sempre più spendibili sul mercato, rafforzamento da un lato delle competenze dei lavoratori disoccupati o in condizione di svantaggio e dall’altro della competitività delle imprese tramite sistemi produttivi innovativi.
La seconda parte del libro è dedicata alla ricerca sul campo sui servizi dell’impiego svolta tramite interviste semi-strutturate a testimoni privilegiati, operatori, dirigenti e utenti dei Centri per l’impiego pubblici (Cpi), delle Agenzie per il lavoro private (Apl), dei Servizi di orientamento e placement delle università (Sopu) e degli Enti di formazione (Ef).
Ludovica Rossotti, dopo aver illustrato la metodologia dell’indagine di tipo qualitativo, affronta la parte più corposa dell’indagine, confrontando i Centri per l’impiego (romani e pugliesi) e le Agenzie per il lavoro e dunque cercando di capire non solo pregi e difetti dei principali attori delle politiche attive, ma anche se c’è nel dettaglio rispondenza con gli indicatori di qualità indicati dall’agenzia Italia-Lavoro del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Si passa quindi ad approfondire con analoga metodologia i Servizi di orientamento e placement delle università pubbliche e private istituiti per rispondere alla cosiddetta “terza” (rispetto alla didattica e alla ricerca) missione dell’università, di orientamento e incontro con la domanda di lavoro dei laureandi e laureati, un servizio importante che va incontro alle difficoltà occupazionali dei giovani laureati che i Centri per l’impiego e le Agenzie private del lavoro sono meno in grado di affrontare.
L’ultima categoria studiata di servizi per l’impiego è curata da Piera Rella e si riferisce agli Enti di formazione, che hanno come compito primario la formazione professionale extrascolastica, sia per favorire l’accesso al lavoro, sia per riqualificare personale già occupato nelle imprese o espulso dai processi produttivi. Tali enti, analogamente alle università, ai Cpi e alle Apl, fanno orientamento al lavoro e avviano a tirocini e costituiscono quindi un importante anello del sistema dei servizi per l’impiego.
Dal confronto tra i servizi per l’impiego laziali e pugliesi emergono, più che differenze, somiglianze: un indicatore di come il Lazio sia da considerare per alcuni aspetti come una regione che segue l’andamento del Sud dell’Italia (Pavolini 2014) e viceversa come la Puglia sia, tra le regioni meridionali, quella più virtuosa. A livello di programmi regionali è proprio la Puglia a prevederne diversi, diretti sia alle categorie più svantaggiate, come i giovani e le donne, ma anche progetti rivolti agli imprenditori, con una rete di collaborazione ben solida con le aziende. Lo stesso non si può dire dei servizi per l’impiego del Lazio, dove soprattutto la parte riguardante le imprese restituisce una situazione a macchia di leopardo, con situazioni virtuose alternate a realtà in evidente difficoltà.
Nell’ultimo capitolo, Patrizio Di Nicola analizza la comunicazione on line dei servizi per l’impiego, un aspetto che diventa sempre più cruciale per rendere efficaci tali servizi e per rendere accessibile e fruibile l’utilizzo da parte degli utenti al fine di favorire il matching tra domanda e offerta di lavoro. In entrambe le regioni analizzate (Puglia e Lazio) la strategia di comunicazione è ancora debole e soprattutto i Cpi scontano la mancanza di social network e di un sito su cui pubblicizzare i propri eventi e potersi confrontare con gli utenti.
Volendo rintracciare alcune centralità, si è visto come nonostante tutte le trasformazioni che i sistemi sociali hanno subito, e in particolare il mercato del lavoro, si può affermare che la classe di appartenenza, il genere, la generazione, il titolo di studio e il territorio permangono ancora le condizioni che determinano la vita delle persone. Dunque, i rapporti interpersonali sono il vero canale di collocamento: le amicizie, le conoscenze, i reticoli sociali, come affermano gli utenti intervistati e gli operatori stessi, sia dei Cpi che delle Apl, sottolineando l’importanza del passaparola per trovare lavoro.
In un mercato del lavoro debole, la mancanza di fiducia, soprattutto tra i giovani, che non fanno esperienza dei servizi atti a inserirli nel mondo del lavoro, ha come conseguenza la crescita dei Neet. La corsa, o meglio la rincorsa dell’Italia nell’investire nelle politiche attive del lavoro per allinearsi agli altri Paesi, quando questi ultimi ormai hanno invertito la rotta, preferendo puntare più sui servizi che sulle politiche attive, risulta non solo anacronistica, ma sconta soprattutto una mancanza di organizzazione: non destinare maggiori risorse nei territori più in difficoltà, puntare sulla formazione degli utenti a scapito di quella degli operatori, non investire sull’immagine dei Cpi, non dotare i vari centri delle indispensabili apparecchiature tecnologiche.
Soprattutto, è necessario prevedere un’integrazione tra i diversi servizi per l’impiego, che in modi diversi forniscono strumenti e misure per inserirsi nel mondo del lavoro e per scongiurare che si presenti la dicotomia pubblico vs privato, facendo venir meno la principale funzione degli stessi servizi: fornire a tutti gli stessi strumenti per entrare nel mondo del lavoro, intervenendo sulle fasce più deboli per procurare a tutti le stesse opportunità.
Il metodo che potrebbe migliorare la capacità del sistema di dare risposta ai giovani disoccupati è quello della presenza mista sul mercato del lavoro di strutture pubbliche e private che sviluppino collaborazione anziché competizione, mettendo a sistema le diverse best practice. Se infatti da una parte le Agenzie per il lavoro, essendo private, godono di maggiore autonomia, più risorse, un numero congruo di operatori e continui corsi di aggiornamento, oltre a una migliore reputazione rispetto ai Centri per l’impiego; questi ultimi offrono servizi gratuiti importanti per l’orientamento nel mercato del lavoro e, grazie alla collaborazione con i Servizi di orientamento e placement dell’università, cercano di rispondere a un target di utenti, i laureati. Allo stesso tempo, insieme anche agli Enti di formazione, si rivolgono ai disoccupati più svantaggiati: gli immigrati e i diversamente abili. Per questa ragione mettere a sistema i vari servizi, competenze e programmi offerti tra gli stessi porterebbe un valore aggiunto alla funzione di intermediazione, rafforzandola e rendendola competitiva alla pari degli altri Paesi europei.
Tuttavia, oltre a riconoscere l’importanza di costituire una rete dei servizi, spesso il contesto territoriale reale si incontra e si scontra con criticità e opportunità. Criticità attribuibili ai singoli servizi e/o all’interazione tra essi, che nonostante le continue riforme seguitano a scontare un ritardo in termini organizzativi e culturali.
Per evitare che i servizi per l’impiego rimangano dei pianeti lontani tra di loro, in una galassia dove povertà, mancanza di lavoro, fiducia, rassegnazione e individualizzazione la fanno da padrone, è necessario prevedere un’integrazione sistemica tra Centri per l’impiego, Agenzie per il lavoro ed Enti di formazione, riportando al centro la questione della disoccupazione come un fenomeno sociale e far sentire la presenza di una rete di servizi che sostiene e accompagna nelle diverse fasi di transizione del mondo del lavoro.