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C'è un legame evidente tra il pensiero di Aldo Capitini, filosofo e politico antifascista, “partigiano” della non violenza e Serge Latouche, filosofo ed economista, “partigiano” della decrescita. Anche la teoria della decrescita infatti è una forma di pensiero non violento, rivolto nei confronti del pianeta. Non sorprende dunque che in occasione del 40esimo anniversario della morte dell'ideatore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, la Fondazione Aldo Capitini abbia voluto invitare proprio il professor Latouche a tenere a Perugia una lectio magistralis sulla “Decrescita come uscita dalla crisi”.
Il pubblico, numerosissimo e costretto a stringersi all'inverosimile per ascoltare il professore francese, è stato comunque ripagato con un'ora e mezza di analisi e teoria, a metà tra sogno e realtà, utopia e concretezza. Peraltro in un ottimo italiano.
L'esordio di Latouche è di quelli fulminanti: “Noi che siamo qui in questo momento abbiamo il privilegio fantastico di assistere al crollo della civiltà occidentale. Si tratta di un una fatto rarissimo, paragonabile alla fine dell'Impero Romano. Con la differenza che questo si è svolto in un arco temporale di 700 anni, mentre il crollo della nostra civiltà si compierà in meno di trent'anni”.
Da “obiettore della crescita”, Latouche fa partire la sua critica da Adam Smith, che della crescita è “sognatore” e teorizzatore. Sì, perché l'idea di Smith, quella di costruire una società in cui tutti si arricchiscono sempre di più, è all'inizio soltanto un'utopia, un “sogno” appunto. “Ma come spesso accade e speriamo che sarà così anche per la Decrescita - osserva Latouche - le utopie di oggi possono diventare almeno in parte la realtà di domani”. Quella di Adam Smith lo diventa intorno al 1850, grazie all'invenzione del sistema termoindustriale, basato sull'energia fossile, che nell'arco di un secolo porta al compimento della società “dei consumi”. Essa, secondo Latouche, poggia su tre piedi: la pubblicità, che spinge al consumo “rendendoci infelici di ciò che abbiamo”, il credito, che dà i mezzi per realizzare l'impulso consumistico e “l'obsolescenza programmata” che forza a consumare di continuo.
Questi elementi, secondo il teorico della Decrescita, fanno della società dei consumi una “società totalitaria soft”, in cui l'uomo non è più padrone del suo destino perché è sottomesso “all'imperialismo dei mercati”, al “dominio della mano invisibile”. Una società simile è destinata pertanto a condurci inesorabilmente a quella che gli esperti chiamano “la sesta scomparsa delle specie”, un'estinzione di massa come quella che cancellò dal pianeta i dinosauri. La differenza è che stavolta si viaggia a una velocità impressionante. “Bisogna stare seduti bene per sentire quello che sto per dire – ha avvertito Latouche rivolto al pubblico in sala – ogni giorno si estinguono tra le 50 e le 200 specie”. Ovviamente, si tratta per lo più di batteri, di specie invisibili, ma non solo di queste (ci sono ad esempio anche le api: in Italia ne sono scomparse 23 miliardi in pochissimo tempo).
Campanelli di allarme talmente clamorosi che portano Latouche a dire: “Non siamo più minacciati dalla catastrofe, siamo già nella catastrofe”. L'ultimo rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) afferma infatti che anche se smettessimo da oggi di bruciare anche una sola goccia di petrolio non potremmo comunque evitare l'innalzamento di due gradi della temperatura globale entro la fine del secolo. Conseguenze? “Centinaia di milioni di emigrati dell'ambiente, la metà del Bangladesh sott'acqua, ma anche una buona parte dell'Italia”. E questo, secondo il professore francese, è “lo scenario migliore”, perché i due gradi potrebbero diventare sei e allora possiamo “dire addio alla specie umana”.
E qui arriviamo alla parte centrale della lectio del professor Latouche: creare una alternativa alla società della crescita per uscire dalla crisi. Arriviamo cioè alla Decrescita. Sulla lavagna allestita per la lectio compare allora un cerchio (“un circolo virtuoso”) con 8 “r” collocate tutte intorno. E' il progetto politico di Latouche, “l'utopia concreta della Decrescita”. Le 8 “r” rappresentano 8 parole d'ordine: rivalutare (prima di tutto la sobrietà), riconcettualizzare (la scarsità e l'abbondanza, il pubblico e il privato), ristrutturare (il sistema produttivo, costruendo cose più utili), rilocalizzare (“non è possibile che 8.000 camion trasportino ogni giorno acqua San Pellegrino dall'Italia alla Francia e acqua Evian dalla Francia all'Italia”), ridistribuire (“l'occidente rappresenta il 20% della popolazione mondiale e consuma più dell'86% delle risorse naturali”), riutilizzare (“per risparmiare risorse naturali e creare posti di lavoro”), riciclare (“ciò che non è possibile riutilizzare”), ridurre (“la nostra impronta ecologica, ma anche gli orari di lavoro”).
Ma i critici di Latouche e del suo movimento hanno gioco facile a dire: sono tutte cose astratte, se volete essere credibili dovete fare proposte concrete e presentare un programma. E allora ecco che, per concludere la sua lectio, il professore francese decide di stare al gioco e di presentare il suo “programma elettorale”.
“Ho sognato che mi candidavo alle elezioni presidenziali con un programma elettorale in pochi punti. Proponevo di ridurre del 75% la nostra impronta ecologica, introducendo una tassa ambientale sui trasporti, per favorire il consumo a 'chilometri zero'. Al tempo stesso proponevo di ricostruire l'agricoltura contadina, rinunciando all'uso dei pesticidi, di trasformare i guadagni di produttività in riduzione dell'orario di lavoro e altre cose simili. Sulla base di questo programma mi sono candidato, sono stato eletto con il 51% e ho iniziato ad applicare il programma. La settimana dopo sono stato assassinato”.
Quale è la morale della favola? “Primo. Ciò che non è ancora possibile a livello globale, può comunque esserlo a livello locale o individuale. Secondo. Ciò che non è possibile oggi potrebbe esserlo domani. Terzo. Ciò che non è possibile qua è già possibile altrove, come in America Latina”. In conclusione, per Latouche “la Decrescita è una scommessa che non siamo sicuri di vincere. Ma in ogni caso, vale la pena di tentare”.