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Dal novembre 2011 a Roma c'è una scuola piuttosto particolare. Una scuola che insegna a fare un mestiere difficile, quello del filmmaker documentarista. E' un istituto di formazione permanente per chi vuole produrre un "cinema altro", cioè un cinema più libero, più creativo, più indipendente. Un cinema fatto tutto di verità. Era proprio con queste parole che Cesare Zavattini, il grande maestro del neorealismo, definiva il documentario. Ed è anche per questo che la scuola porta il suo nome.
A promuovere l'iniziativa e ad ospitare aule ed i laboratori dell'istituto è l'Aamod, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, e dopo cinque mesi l'attività didattica prosegue senza sosta. Facciamo il punto su questa esperienza con Guido Albonetti, regista, membro della Fondazione Aamod, e coordinatore didattico, nonché docente dell'istituto.
Rassegna. Il progetto era quello di una scuola fondata sul principio dell’ “imparare facendo”. Come sta andando?
Albonetti. Tutti noi, membri del consiglio didattico, siamo sempre più convinti che l’idea di partenza sia stata giusta. Le allieve e gli allievi sono stati da subito catapultati nel processo produttivo del cinema documentario: ideazione, scrittura, riprese, montaggio e distribuzione. Dopo qualche settimana di smarrimento, hanno compreso il senso di questa impostazione didattica ispirata proprio al pensiero di Zavattini, che immaginava una scuola in cui teoria e prassi si possono coniugare in un laboratorio permanente.
Rassegna. Una sorta di tuffo nel mondo lavoro che aspetta questi studenti…
Albonetti. E' così, si tratta di un progetto, costruito giorno per giorno insieme agli allievi, che si muove proprio nella direzione di una scuola finalizzata a formare professionisti per il mercato di oggi e di domani. Saranno i futuri protagonisti della costante evoluzione che vive il mondo dell’audiovisivo.
Rassegna. Da cosa nasce l'esigenza di una scuola come questa?
Albonetti. L’enorme successo e il relativo basso costo della tecnologia digitale applicata agli apparati di ripresa e di editing ha creato pericolose scorciatoie nella formazione professionale. Molti giovani si illudono che sia sufficiente pedinare una persona, rovistare nella sua memoria e arredare il tutto con qualche immagine d’archivio per realizzare l’ ennesimo prodotto che, quasi sempre va ad alimentare le discariche dell’audiovisivo. Purtroppo questo facile approccio alla professione viene anche sostenuto dall’incessante offerta di workshop dove tra un coffee-break e una tartina si vende l’illusione che la dimestichezza con gli strumenti tecnologici possa sopperire alla povertà di cultura. Il “fare documentario” è soprattutto conoscenza, e ricerca infinita .
Rassegna. State anche organizzando molte lezioni aperte, con proiezioni e incontri con i protagonisti del documentarismo italiano, in uno scambio continuo col mondo del lavoro e il sociale.
Albonetti. Sì perché l'idea di fondo è quella di una scuola aperta, come luogo d’incontro da condividere con gli altri, dove anche le lezioni con gli autori e i professionisti del cinema documentario sono per tutti. Ugo Gregoretti, Wilma Labate, Cecilia Mangini sono stati i primi a raccontare le loro esperienze umane e professionali sollecitando gli studenti a filmare “politicamente” il reale e a proiettare sugli schermi la straordinaria ricchezza delle immagini del lavoro, delle lotte sindacali, degli studenti, delle donne.